Traduzione di: Silvia
Scuotto
Originally appeared on:
The New Yorker, by Tim Wu
Ci sono molti modi per
attribuire la colpa del fallimento del progetto Google Libri.
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È stato il progetto di
biblioteca più ambizioso del nostro tempo - un piano per scansionare
tutti i libri del mondo e metterli a disposizione del pubblico
on-line. "Pensiamo di poter realizzare il tutto entro dieci
anni", disse Marissa Mayer, allora uno dei vice-presidente di
Google, a questa rivista nel 2007, quando Google Libri era nella sua
fase beta. "È sbalorditivo per me, quanto sia vicino."
Oggi, il progetto si
trova in una sorta di limbo. Da una parte, Google ha digitalizzato
l'impressionante numero di trenta milioni di volumi, mettendosi in
elenco con le librerie più grandi del mondo (la biblioteca del
Congresso conta circa trentasette milioni di libri). È un grande
risultato. Ma, mentre il corpus è impressionante, la maggior parte
di esso rimane inaccessibile. Spesso ricerche di libri fuori stampa
forniscono meri frammenti del testo - non c'è modo per ottenere
l'accesso a tutto il libro. La cosa entusiasmante di Google Libri,
dal mio punto di vista, non era solo la possibilità di leggere una
riga qua e là; era la possibilità di esplorare il testo integrale
di milioni di libri e periodici fuori stampa, senza un reale valore
commerciale, ma che rappresentavano comunque un tesoro per il
pubblico. In altre parole, sarebbe la prima biblioteca online del
mondo degna di questo nome. Eppure il raggiungimento di tale
obiettivo è stato ostacolato, nonostante Google avesse a
disposizione una combinazione insolita di mezzi tecnologici,
l'accordo di molti autori ed editori, e abbastanza soldi da
compensare quasi chiunque ne avesse bisogno.
I problemi sono iniziati
con un classico scontro culturale quando, nel 2002, Google iniziò la
scansione dei libri, o nella speranza che l'idealismo del progetto
avrebbe vinto tutti o seguendo il mantra che è sempre più facile
ottenere il perdono che il permesso. Tale approccio non è andato
troppo d'accordo con autori ed editori, che lo hanno citato per
violazione del copyright. Ne seguirono due anni di insulti,
perseveranza e contenziosi. Tuttavia, nel 2008, i rappresentanti di
autori, editori e Google riuscirono a raggiungere un accordo per
rendere la libreria completa a disposizione del pubblico, a
pagamento, e alle istituzioni. L'accordo prevedeva anche terminali
nelle biblioteche, ma non si è mai arrivati a tanto. Ma tale accordo
poi passò sotto ulteriori attacchi da una nuova serie di critici,
inclusa l'autrice Ursula Le Guin, che lo definì un "patto con
il diavolo". Altri hanno sostenuto che l'accordo avrebbe potuto
creare un monopolio dei libri fuori stampa online.
Quattro anni fa, un
giudice federale si schierò con i critici e respinse l'accordo del
2008, aggiungendo che gli aspetti del problema sul copyright
sarebbero stati trattati in modo più appropriato dalla legislatura.
"Suona come un lavoro per il Congresso," disse al momento
James Grimmelmann, professore di diritto presso la University of
Maryland e uno dei maggiori antagonisti dell'accordo. Ma,
naturalmente, lasciare le cose al Congresso è diventato sinonimo di
non fare nulla, e, prevedibilmente, ben sette anni dopo l'annuncio
della decisione del tribunale, stiamo ancora aspettando.
Ci sono molti modi per
attribuire colpe in questa situazione. Se realmente Google era
motivato dai più alti ideali di servizio al pubblico, allora avrebbe
dovuto dichiarare il progetto come senza scopo di lucro dal
principio, estinguendo così i timori che l'azienda volesse in
qualche modo ottenere un profitto dal lavoro altrui. Purtroppo,
Google ha fatto l'errore che fa spesso, che è quello di pensare che
la gente si fidi solo perché è Google. Da parte loro, gli autori e
gli editori, anche se alla fine sono giunti a un accordo, erano
scettici e orientati a pensare alla cospirazione, soprattutto quando
si trattava di pesare diritti astratti e soprattutto inutili contro
l'interesse del pubblico ad avere accesso a opere oscure. Infine, i
critici esterni e le corti erano fin troppo entusiasti di sopprimere,
piuttosto che migliorare, un accordo raggiunto dopo tanti anni,
portando effettivamente il progettoindietro di un decennio, se non
più.
Negli ultimi anni, la
Authors Guild [N.d.T.1] ha utilmente proposto una soluzione nota come
sistema di "licenze collettive estese". Utilizzando un
meccanismo complesso, permetterebbe ai proprietari di biblioteche
fuori stampa scansionate, come Google o effettivi non-profit come la
biblioteca Hathitrust [N.d.T.2], di renderne fruibile una serie
limitata, con pagamenti agli autori. Il Copyright Office degli Stati
Uniti sostiene questo piano. Io ho un suggerimento più semplice,
soprannominato la licenza Big Bang. Il Congresso dovrebbe consentire
a chiunque con una biblioteca digitalizzata a pagare un certo prezzo
- diciamo, centoventicinque milioni di dollari - per ottenere una
licenza, fatte salve eventuali deroghe, consentendo loro di rendere
quelle stampe digitalizzate disponibili alle istituzioni o agli
abbonati individuali. Quel denaro sarebbe diviso in parti uguali tra
tutti gli aventi diritti che lo richiedano entro tre anni –
cinquanta e cinquanta tra autori ed editori. Si tratta, è vero, di
una soluzione rozza e unica al problema, ma sarebbe adatta, e
potrebbe solo significare che il mondo avrebbe la possibilità di
accedere alla prima vera biblioteca online in questa vita.
Note del Traduttore
N.d.T.1: la
Authors Guild è la più antica e grande organizzazione professionale americana per gli scrittori.
N.d.T.2: Hathitrust è un grande archivio collaborativo di contenuti digitali da biblioteche di ricerca.
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