martedì 30 giugno 2015

Cosa stiamo leggendo quest'estate

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: The New Yorker
, by
The New Yorker
http://www.newyorker.com/books/page-turner/what-were-reading-this-summer


Credit PHOTOGRAPH BY DENNIS STOCK / MAGNUM

Lascio New York per la West Coast ogni estate, e mi piace portare almeno una parte delle mie letture estive anche dall’altro lato del Mississipi. C’è un sacco di scrittura cosiddetta regionale davvero meravigliosa là fuori a occidente, in gran parte sottovalutata - come la mia migliore scoperta della scorsa estate, “The Meadow” [N.d.T.1] di James Galvin, un’adorabile storia-in-forma-di-romanzo lunga un-centinaio-di-anni riguardo un piccolo lembo di terra nel sud del Wyoming. Questa estate ho intenzione di rivisitare John Muir, per qualcosa che sto pensando di scrivere su Yosemite, e sono anche in attesa di “Gold Fame Citrus”, l’imminente romanzo di Claire Vaye Watkins, della quale ho ammirato la collezione di racconti del 2012, “Battleborn” [N.d.T.2]. E su una nota non-occidentale (se non in senso canonico di occidentale), spero di leggere finalmente un libro a cui sto girando intorno da un po’: “Il segreto nella parola” di Frank Kermode, un’indagine sull’interpretazione della narrativa.

Ho anche intenzione di fare un po’ di ascolto questa estate. Escluso il caso di un viaggio in auto attraverso lo stato all’inizio dei vent’anni, non mi sono mai avvicinata agli audiolibri, ma ultimamente ho optato per loro per risolvere un problema molto specifico: cosa fare di tutti quei libri che ho letto quando ero troppo giovane e mi piacerebbe incontrare di nuovo da adulta? Praticamente tutte le mie ore di lettura sono limitate, ma di recente ho capito che ci sono sempre piccoli angoli di potenziale tempo di lettura intorno ai bordi di ogni giorno - purché io non abbia bisogno di mani o di occhi. Quindi audiolibri, e l’esperienza a-me-nuova di una lettura diversa. Avendo letto tutto ciò che ho letto di letteratura russa quando ero troppo giovane, di recente ho riscoperto “Anna Karenina” e “La morte di Ivan Il’ič” in questo modo, e mentre non sono sicura di come mi sarei sentita se non avessi già letto quei libri in forma cartacea, sono rimasta sorpresa da quanto mi sia piaciuto, e da quanto sia un’esperienza diversa e interessante rispetto alla lettura su pagina. Nel frattempo, mi ha anche ricordato perché mi sia sempre piaciuto più Dostoevskij ripetto a Tolstoj, quindi lui sarà il prossimo.

—Kathryn Schulz

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L’estate è la stagione di vasta immediatezza - imparare i ritmi della conversazione in una città lontana, sentire pietre calde sulle gambe nude in un terreno estraneo, o appisolarsi all’aperto, con il sale sulla pelle, alcune sere nel fine settimana - così mi è sembrato il tempo perfetto per recuperare “Alexandrian Summer” [N.d.T.3] del romanziere egiziano-israeliano Yitzhak Gormezano Goren, pubblicato originariamente nel 1978, in ebraico, e solo ora tradotto in inglese. Il libro, basato sui ricordi di Goren quando aveva dieci anni nell’estate del 1951, poco prima che la sua famiglia si trasferisse in Israele, aiuta a mostrare perché l’Alessandria del dopoguerra ispiri nostalgia e bramosia apparentemente in tutti quelli che la conoscevano. Concentrandosi sulle vite intrecciate di un paio di famiglie, Goren traccia il groviglio cosmopolita di fedi e culture della città, senza perdere di vista le comiche inflessioni interne che coltivavano. Il risultato è ciò che dovrebbe essere una lettura estiva: veloce, spensierata, viscerale, e un po’ lasciva. Ho apprezzato la traduzione piacevole di Yardenne Greenspan, e questa prima edizione inglese presenta un’introduzione sognante di André Aciman, il re della nostalgia alessandrina. A quanto pare è cresciuto nella stessa strada di Goren, in un’epoca leggermente diversa, ma non per questo meno incantata.

—Nathan Heller

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Il 28 luglio 1915, il presidente Woodrow Wilson inviò i marines degli Stati Uniti ad Haiti, per tutelare gli interessi delle multinazionali americane contro la presa di potere europea, dando inizio a un’occupazione di Haiti che sarebbe durata diciannove anni. Durante questo periodo, il governo degli Stati Uniti ha rimappato Haiti, riscritto la sua costituzione, preso carico delle istituzioni finanziarie del paese, e ha istituito il lavoro forzato. Ma non sapreste nulla di tutto ciò leggendo libri come “The White King of La Gonave: The True Story of the Sergeant of Marines Who Was Crowned King on a Voodoo Island” [N.d.T.4] di Faustin E. Wirkus; o “The Magic Island” di William Seabrook, che annovera tra le sue altre opere “Jungle Ways: Seabrook’s Book Out of Africa” [N.d.T.5]; o “Cannibal Cousins” [N.d.T.6] di John Houston Craige. Alcuni di questi libri, con la sensazionale appropriazione indebita del vudù di Haiti, hanno ispirato i primi film sugli zombie: “L’isola degli zombies”, “Revolt of the Zombies” [N.d.T.7] e “Ho camminato con uno zombi”. Questa estate non sto rileggendo questi libri solo perché sono ghiotto di punizioni, ma perché mio nonno era un Caco, un combattente della resistenza contro questa occupazione, e voglio, un centinaio di anni più tardi, cercare di farmi un’idea delle menti di alcuni degli uomini contro i quali stava combattendo. Per rinfrescare il palato, aggiungo “Taking Haiti: Military Occupation and the Culture of U.S. Imperialism, 1915-1940” [N.d.T.8] di Mary A. Renda, e un romanzo haitiano ambientato durante quel periodo, “In the Flicker of an Eyelid” [N.d.T.9] di Jacques Stephen Alexis.

—Edwidge Danticat

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Quello che farò abbastanza presto è tornare ai romanzi di Elena Ferrante. Su suggerimento della recensione di James Wood, ho letto “L’amica geniale” - è stato un brivido assoluto. Poi ho interrotto, mi sono allontanata e ho letto alcune altre cose. Ora ho intenzione di risalire sul treno. È incredibile quanti libri ci siano, che sono migliori di quelli che avete letto ultimamente.

—Joan Acocella

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Dovete dare un’occhiata a “Saint Monkey” [N.d.T.10] di Jacinda Townsend. Questo meraviglioso romanzo - ambientato in Kentucky poco prima che i diritti civili facessero a pezzi Jim Crow - traccia la vita di due giovani donne di colore, entrambe straniere, entrambe alla ricerca, e l’amicizia spinosa che le tiene insieme. E "I miei documenti" di Alejandro Zambra. Questa dinamitica raccolta di racconti ha tutto - Cile e Belgio, l’esilio e il ritorno a casa, Pinochet e Simon e Garfunkel - ma quello che mi piace di più di questi racconti è la loro inusualità, la loro intelligenza e la loro splendida onestà.

—Junot Díaz

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Non vedo l’ora di leggere il quarto volume dell’epico “La mia lotta” di Karl Ove Knausgaard ma, sebbene io sia entusiasta che il successo dei libri sia stato un tale colpaccio per Archipelago, l’editore americano di Knausgaard, sto aspettando di andare in Gran Bretagna verso la fine dell’estate per comprare l’edizione britannica. Le edizioni di Archipelago, che hanno un formato più ampio della maggior parte dei libri, sono veramente belli da vedere. Ma quando si tratta di leggere realmente, la lunghezza maggiore del testo mi distrae dallo sprofondare nel libro, che è tutto quello che voglio fare con Knausgaard. Mi dispiace, Archipelago. Forse quando farete il cofanetto dei sei volumi - farete un cofanetto, spero! - li prenderò, solo per amor della bellezza.

—Rebecca Mead

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La mia mente quest’estate è Transcendentalista. Sto leggendo “Prosa” e “Poesie” di Ralph Waldo Emerson, nelle nuove edizioni della Harvard University Press; due studi di scrittori del New England le cui carenze si possono immaginare dai titoli, ma i cui fasti sono ovunque nelle loro frasi: “The Flowering of New England” e “New England Indian Summer” [N.d.T.11] di Van Wyck Brooks; “Emerson Among the Eccentrics” [N.d.T.12], un grande ritratto di gruppo di Carlos Baker; più “Walden” di Thoreau, per la sua utilità come guida per la foresta - e perché l’ho letto quasi ogni anno da quando avevo quattordici anni - insieme a un libro che considero il suo rivale più prossimo, “The Senses of Walden” [N.d.T.13] di Stanley Cavell. La strada conduce alla strada, quindi chissà dove porteranno tutti questi diversi percorsi.

—Dan Chiasson

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Spero di finire di leggere un paio di libri che ho iniziato più di un anno fa e non sono riuscito a finire. Il primo è “Mother’s Milk - I Melrose” di Edward St. Aubyn, il quarto della sua serie di romanzi su Patrick Melrose. Ho consumato i primi tre libri in pochi giorni, di volta in volta affascinato e inorridito dal punto di vista WASP [N.d.T.14] autolesionista e cinico di Patrick. “Mother’s Milk”, tuttavia, inizia dal punto di vista del giovane figlio di Patrick, uno studente delle elementari inverosimilmente consapevole, i cui ricordi si estendono fino al grembo materno. Ho trovato il ragazzino un po’ noioso e non ho superato la ventina di pagine. Ma di recente sono andato avanti e ho visto che nel sesto capitolo torniamo alla prospettiva selvaggia di Patrick, mentre lotta con prescrizioni per sonniferi, adulterio, e il disprezzo per la madre. Perfetto per l’estate!

Lo scorso inverno, sono arrivato a pagina settecentocinquanta di “Guerra e pace”, poi mi sono spento. Per sei mesi, il mio segnalibro si è fermato ingiallendo, come un sereno rimprovero, a metà del tomo monolitico. In realtà mi stava piacendo, quindi potrei provare a riprenderlo - o potrei rileggere semplicemente “Anna Karenina”, suppongo. Non molto fa, lessi “Libertà” di Jonathan Franzen, che mi piacque anche più di “Le correzioni”: mi è sembrato un lavoro più maturo e completo, e andrò fino in fondo ammettendo pubblicamente che le ultime pagine mi hanno commosso alle lacrime. Tutto questo per dire che non vedo l’ora di prendere il nuovo romanzo di Franzen, “Purity”. [N.d.T.15]

—John Colapinto

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Questa estate ho letto “Limonov” di Emmanuel Carrère e “A Norwegian Tragedy: Anders Behring Breivik and the Massacre on Utøya” [N.d.T.16] di Aage Borchgrevink. Mentre Carrère tratta Limonov - un mitomane professionista e fascista-bolscevico part-time - come un personaggio letterario spettacolare che riflette la (un po’ meno spettacolare) storia recente della Russia, Breivik di Borchgrevink elabora i dettagli delle sue manie in una stanza solitaria metaforica/letterale, dalla quale emerge come assassino. Sebbene le conseguenze delle loro odiose mitologie siano diverse, entrambe le storie, di Limonov e di Breivik, dimostrano che il fascismo inizia con gratuito auto-coinvolgimento.

—Alesksandar Hemon

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Dopo aver tenuto una lezione sulle città e l’immaginazione americana un paio di anni fa, mi sono reso conto che non conoscevo abbastanza la storia della periferia, dove sono cresciuto. Così questa estate mi sto facendo strada attraverso gli epici sette volumi di Kevin Starr “Americans and the California Dream”. [N.d.T.17] Vagamente correlato: sono entusiasta di leggere finalmente “Cash Crop: An American Dream” [N.d.T.18] di Ray Raphael, un libro del 1985 vendutomi come il resoconto completo delle reticenti comunità altamente organizzate di agricoltori freelance di marijuana del Nord della California. (Ogni estate, sento particolarmente la nostalgia della California, dove non prendiamo l’estate così seriamente, essendo bel tempo tutto l’anno.)

Quando insegno, non ho molto tempo per leggere libri che non ho intenzione di sottolineare, quindi sto utilizzando le ferie anche per recuperare un paio di cose divertenti: “Diary of a Madman” [N.d.T.19] di Benjamin Meadows-Ingram e Brad “Scarface” Jordan, sulle imprese giovanili e l’evoluzione dell’immaginazione della leggenda del rap di Houston; “Der Klang der Familie” [N.d.T.20] di Felix Denk e Sven von Thülen, una storia orale meravigliosa sulla caduta del muro di Berlino e l’ascesa della cultura techno berlinese; e “Penso quindi gioco” di Andrea Pirlo, l’autobiografia opportunamente di classe della leggenda del calcio italiano. (Potrei non finire ognuno di questi libri ma, nel corso dei prossimi due mesi, li porterò certamente, come una pila, da una stanza all’altra.) Non leggo molta narrativa durante il periodo estivo, ma intendo iniziare “Stoner” di John Williams, un romanzo sui poteri stabilizzanti e trasformativi della letteratura. È anche una storia tragica di come l’amore per la letteratura non vi salverà nel mondo reale della politica del campus, delle relazioni personali, della vita di tutti i giorni. Un modo per ricordare a me stesso, immagino, di cominciare a pensare i corsi del prossimo anno.

—Hua Hsu

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Questa estate, sto leggendo due racconti di vite lontane e tempestose del XX secolo. “Nicolas Nabokov: A Life in Freedom and Music” [N.d.T.21] di Vincent Giroud, cronache di una carriera surreale che per il cugino di Nabokov, il romanziere Vladimir, sarebbe stato difficile inventare: un compositore cosmopolita fugge dal crollo della Russia zarista e finisce col diventare un guerriero culturale della Guerra Fredda, organizzando feste ardite, segretamente sovvenzionate dalla C.I.A. In ciò che equivale a una difesa a pieni polmoni di una figura controversa, Giroud sostiene che Nabokov si approfittò dell’isteria da Guerra Fredda più di quanto questa facesse con lui. “Malevolent Muse: The Life of Alma Mahler” [N.d.T.22] di Oliver Hilmes è una biografia elegante e deprimente della donna che aveva la precoce ambizione di diventare compositore, ma che ha vinto la fama per una notevole serie di matrimoni e relazioni - con, variamente, Gustav Mahler, Oskar Kokoschka, Walter Gropius, e Franz Werfel. Hilmes, che in precedenza aveva scritto una bella biografia di Cosima Wagner, sottolinea il grado di antisemitismo di Mahler-Werfel, che rimase inquietantemente forte anche durante la Seconda Guerra Mondiale: in esilio a Los Angeles, disse a Werfel che i nazisti avevano fatto “molte cose lodevoli”. Mi sono anche immerso in due libri di musica pop: “The First Collection of Criticism by a Living Female Rock Critic” [N.d.T.23] di Jessica Hopper, che è all’altezza del suo titolo di bronzo; e “Top 40 Democracy: The Rival Mainstreams of American Music” [N.d.T.24] di Eric Weisbard, che studia come la musica pop rispecchi e preveda i cambiamenti sociali. Infine, per il piacere e l’edificazione in egual misura, sto leggendo “Between You & Me: Confessions of a Comma Queen” [N.d.T.25] di Mary Norris, un libro di memorie già celebrato, nato da una serie di post sul blog del New Yorker.

—Alex Ross

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Leggere il nuovo libro di Judy Blume, “In the Unlikely Event” [N.d.T.26], è stato molto piacevole; ha anche esplorato, in triplice copia, una delle mie più grandi paure: trovarmi in un indicente aereo. Mi ha resa ancora più curiosa di leggere “Skyfaring: A Journey with a Pilot” [N.d.T.27] di Mark Vanhoenacker,circa le gioie di essere un pilota di aerei. Alle feste, scrive Vanhoenacker, gli fanno spesso domande che “suggeriscono che anche adesso, quando molti di noi partono così regolarmente da un posto a un altro sulla terra attraversando l’alto blu, non siamo abituati a volare quanto pensiamo”: domande che lo rassicurano del fatto che “una parte molto profonda del nostro immaginario indugia” nel regno degli antichi pensieri sul volo. Sembra avere la mente di uno scienziato e il cuore di un poeta - sono curiosa di leggere il suo punto di vista sicuro circa tutta l’operazione, che potrebbe liberarmi dal mio, vile.

Ho appena finito di leggere i romanzi napoletani di Elena Ferrante - il quarto e ultimo libro, “Storia della bambina perduta”, uscirà a settembre e, attenzione spoiler!, è fantastico. (Mi rivelo qui come suo revisore - un ruolo non semplice quando sei in iperventilazione). Terminata Ferrante, ho saggiato le acque di “La mia lotta” di Knausgaard che, al contrario di chiunque altro, non ho ancora letto, e spero di immergermici pienamente questa estate. Per adesso, è vero: è davvero bello (ma sto ancora leggendo come un revisore, distratta da un incerto “separato” a p. 4).

—Sarah Larson

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La grande promessa delle letture estive è il piacere di un assorbimento totale: il tempo di saltare sull’amaca (o buttarsi in un angolo dimenticato da Dio dell’aeroporto durante uno scalo senza fine), con tutti i volumi di “Alla ricerca del tempo perduto”, o qualcosa del genere. Farsi strada attraverso un romanzo grande e grosso offre un certo tipo di intensità di esperienza di lettura, ma se cercate un’esperienza di immersione totale, è il caso di optare per il racconto come genere naturale per l’estate. Se ne può leggere uno in una sola volta, motivo per cui Edgar Allan Poe pensava che il racconto fosse il re di tutti gli stili, l’unico in grado di offrire “la forza immensa derivabile dalla totalità”. Leggendo un mucchio di storie dello stesso scrittore, si ottiene il ritratto di una mente in mosaico - se non è un granché, le crepe si mostreranno presto; se lo è, si conosce qualcosa di splendido. Quest’ultimo è il caso di “The Love Object” [N.d.T.28], una nuova selezione di racconti di Edna O’Brien che abbracciano tutta la sua carriera, in cui ho intenzione di continuare a immergermi dentro e fuori nel corso delle prossime settimane. La maestria di O’Brien si rivela in molti modi; una è la calma sfuggente degli incipit delle sue storie, che catturano prima che ci si renda conto di esserci dentro. L’acqua diventa molto profonda, molto velocemente. Prendete l’apertura della storia “Storm”:

Il sole ha dato ai campi spogli la lucentezza del fieno stagionato. Questo è il motivo per cui ci va la gente, per il sole e il paesaggio - catene montuose, le loro vette scintillanti, un cielo quasi privo di nuvole, il mare di una varietà di sfumature di blu, incessantemente tremolante come un vassoio di gioielli. Eppure Eileen vuole andare a casa; per essere più precisi, vorrebbe non essere mai venuta.

Non si può chiedere un sentimento d’estate più onesto di questo. Poe amava i racconti per il potere che hanno dato ai loro autori: “Durante l’ora della lettura, l’anima del lettore è sotto il controllo dello scrittore”. Cedo felicemente la mia a O’Brien, e anche a Mavis Gallant, una delle più brillanti scrittrici di racconti in lingua inglese, che merita di esser letta ampiamente quanto la sua compatriota canadese Alice Munro. Nessuno scrive della gente rozza come Gallant; lei trasforma i campioni umani più meschini in soggetti di alto fascino e compassione, il che la rende un’ottima lettura per i surriscaldati pendolari della metropolitana estiva.

—Alexandra Schwartz

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Sto leggendo Knausgaard, volume 4! La magia continua!

—Elif Batuman


Note del Traduttore
N.d.T.1: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Meadow” di James Galvin.
N.d.T.2: Non sono ancora presenti traduzioni italiane di “Gold fame citrus” e “Battleborn” di Claire Vaye Watkins
N.d.T.3: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Alexandrian Summer” di Yitzhak Gormezano Goren
N.d.T.4: Non è ancora presente una traduzione italiana di “The White King of La Gonave: The True Story of the Sergeant of Marines Who Was Crowned King on a Voodoo Island” di Faustin E. Wirkus
N.d.T.5: Non sono ancora presenti traduzioni italiane di “The Magic Island” e “Jungle Ways: Seabrook’s Book Out of Africa” di William Seabrook
N.d.T.6: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Cannibal Cousins” di John Houston Craige
N.d.T.7: Il film “Revolt of the Zombies” non è stato distribuito in italiano
N.d.T.8: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Taking Haiti: Military Occupation and the Culture of U.S. Imperialism, 1915-1940” di Mary A. Renda
N.d.T.9: Non è ancora presente una traduzione italiana di “In the Flicker of an Eyelid” di Jacques Stephen Alexis
N.d.T.10: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Saint Monkey” di Jacinda Townsend
N.d.T.11: Non sono ancora presenti traduzioni italiane di “The Flowering of New England” e “New England Indian Summer” di Van Wyck Brooks
N.d.T.12: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Emerson Among the Eccentrics” di Carlos Baker
N.d.T.13: Non è ancora presente una traduzione italiana di “The Senses of Walden” di Stanley Cavell
N.d.T.14: L'acronimo WASP (White Anglo-Saxon Protestant, Bianco Anglo-Sassone Protestante) indica un cittadino statunitense discendente dei colonizzatori originari inglesi, e quindi non appartenente a nessuna delle tradizionali minoranze
N.d.T.15: Il nuovo romanzo di Jonathan Franzen, “Purity”, sarà pubblicato il 1º settembre 2015
N.d.T.16: Non è ancora presente una traduzione italiana di “A Norwegian Tragedy: Anders Behring Breivik and the Massacre on Utøya” di Aage Borchgrevink
N.d.T.17: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Americans and the California Dream” di Kevin Starr
N.d.T.18: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Cash Crop: An American Dream” di Ray Raphael
N.d.T.19: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Diary of a Madman” di Benjamin Meadows-Ingram e Brad “Scarface” Jordan
N.d.T.20: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Der Klang der Familie” di Felix Denk e Sven von Thülen
N.d.T.21: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Nicolas Nabokov: A Life in Freedom and Music” di Vincent Giroud
N.d.T.22: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Malevolent Muse: The Life of Alma Mahler” di Oliver Hilmes
N.d.T.23: Non è ancora presente una traduzione italiana di “The First Collection of Criticism by a Living Female Rock Critic” di Jessica Hopper
N.d.T.24: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Top 40 Democracy: The Rival Mainstreams of American Music” di Eric Weisbard
N.d.T.25: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Between You & Me: Confessions of a Comma Queen” di Mary Norris
N.d.T.26: Non è ancora presente una traduzione italiana di “In the Unlikely Event” di Judy Blume
N.d.T.27: Non è ancora presente una traduzione italiana di “Skyfaring: A Journey with a Pilot” di Mark Vanhoenacker
N.d.T.28: Molti racconti di Edna O’Brien sono stati pubblicati in italiano, ma non la raccolta “The Love Object”


giovedì 25 giugno 2015

La scienza di Tristezza e Gioia: "Inside Out" coglie le emozioni dei bambini

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on:
NPR, by Jon Hamilton & Neda Ulaby

http://www.npr.org/sections/health-shots/2015/06/13/413980258/science-of-sadness-and-joy-inside-out-gets-childhood-emotions-right

Gioia (a sinistra, doppiata da Amy Poehler) e Tristezza (doppiata da Phyllis Smith) [N.d.T.1] viaggiano sul Treno dei Pensieri in Inside Out della Pixar. Il film arriverà nei cinema il 19 giugno. [N.d.T.2]


Spesso la versione Hollywoodiana della scienza ci chiede di credere che i dinosauri possano essere clonati da antico DNA (non possono), o che la prossima era glaciale potrebbe svilupparsi in pochi giorni (non potrebbe).

Ma il film della Pixar Inside Out è una fantasia animata che rimane straordinariamente fedele a ciò che gli scienziati hanno imparato a conoscere della mente, delle emozioni e della memoria.

Il film parla di una ragazzina undicenne di nome Riley che si trasferisce dalla sua casa felice in Minnesota alla West Coast, dove non ha amici e la pizza è fatta con i broccoli. Gran parte del film si svolge nella mente di Riley, che dispone di un centro di controllo presidiato da cinque emozioni personificate: Gioia
, Tristezza, Paura, Rabbia e Disgusto.

"Penso che ci abbiano davvero preso", dice Dacher Keltner, professore di psicologia presso la University of California, Berkeley, che ha lavorato come consulente per i realizzatori.

Il film compie un ottimo lavoro nel ritrarre cosa voglia dire avere 11 anni, sostiene Keltner. "Converge su uno dei momenti più intensi della vita di un individuo, il passaggio alla pre e prima adolescenza, in cui i bambini - e, credo, in particolare le ragazze - iniziano a sentire
veramente con forza la perdita dell'infanzia", dice.

Mentre i realizzatori stavano lavorando, bombardavano di e-mail Keltner e Paul Ekman, un pioniere nello studio delle emozioni. Il processo ha contribuito a creare un film realistico per la scienza sottostante, quando mostra cose come il modo in cui le emozioni tendono a colorare la percezione che ha Riley del mondo.

"Quando ci si trova in uno stato di paura, tutto è intriso di minaccia, incertezza e pericolo", afferma Keltner. E quando Riley è triste, dice, anche i suoi ricordi felici assumono una tonalità bluastra.

I realizzatori hanno colto nel modo giusto un sacco di altri dettagli scientifici. Dentro la testa di Riley, si vede che i ricordi vengono bloccati durante il sonno, le esperienze vengono trasformate in astrazioni, e vi sono guardie che proteggono il subconscio.

Ci sono un paio di deviazioni dalla norma scientifica. I ricordi a lungo termine sono rappresentati come palle di neve immutabili, anche se gli scienziati sanno che questi ricordi in realtà tendono a cambiare nel corso del tempo. E Riley ottiene cinque emozioni di base invece delle sei spesso descritte nei libri di testo. ("Sorpresa"
, a quanto pare, non ce l'ha fatta.)

Anche il disgusto è presente, in forma piuttosto mite - la reazione di un bambino che deve mangiare i broccoli. Il film minimizza una versione più potente di disgusto, "come se improvvisamente, mangiando del cibo, ci trovaste un verme dentro, o fosse marcio", dice Keltner.

Uno dei punti di forza del film, però, è la rappresentazione della tristezza, dice Keltner. In molti libri e film per bambini, dice, la tristezza è respinta in quanto emozione negativa, con nessun ruolo importante.

In Inside Out, Gioia - dalle fattezze di una stella - vanta più tempo sullo schermo. Ma quando le emozioni sono in pericolo di perdersi nei corridoi infiniti della memoria a lungo termine, è Tristezza - abbattuta e a forma di lacrima blu - che emerge come improbabile eroina.

Per i bambini,
dice Keltner, si tratta di "una bella dichiarazione su quanto sia importante la tristezza per la nostra comprensione di chi siamo".


Note del Traduttore
N.d.T.1: Doppiate da Lodovica Comello (Gioia) e Diana Del Bufalo (Tristezza) nella versione italiana
N.d.T.2: Negli Stati Uniti, in Italia è previsto per il 16 settembre.

sabato 20 giugno 2015

Knausgaard o Ferrante?

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: The New Yorker
, by Joshua Rothman

http://www.newyorker.com/culture/cultural-comment/knausgaard-or-ferrante

 Illustrazione di Boyoun Kim


Nel 1959, il critico letterario George Steiner pubblicò un libro intitolato Tolstoj o Dostoevskij”. Non chiedeva quale scrittore fosse migliore - erano titani entrambi”, secondo Steiner. Chiedeva, invece, cosa potesse significare la preferenza di una persona di uno dei due rispetto all’altro. Scopri quale dei russi un lettore preferisce e perché, sosteneva Steiner, e credo, penetrerai nella sua stessa natura”, perché un’affinità con Tolstoj o Dostoevskij impegna limmaginazione a una delle due interpretazioni radicalmente opposte del destino dell’uomo, del futuro storico, e del mistero di Dio”.

I romanzieri titanici del momento letterario corrente sono Elena Ferrante e Karl Ove Knausgaard, e la tentazione di confrontarli è altrettanto irresistibile. Come Tolstoj e Dostoevskij, Knausgaard e Ferrante sono geni uguali i cui libri incarnano valori opposti. Leggendo La mia lotta affianco ai romanzi napoletani, non si può fare a meno di tendere da un lato o dallaltro, scoprendo di sentirsi più a casa in Norvegia piuttosto che a Napoli, o di sentirsi più come Elena (o la sua amica Lila) che come Karl Ove. La meta-domanda, naturalmente, è cosa significhino queste affinità. Cosa cè in gioco quando optiamo per la neve rispetto al sole, la rabbia all’imbarazzo, le aringhe al prosciutto, le donne agli uomini, il nord al sud, il 1955 al 1985? Che cosa suggerisce di noi la nostra preferenza per Knausgaard o Ferrante?

La rivalità dipende dalla somiglianza, e la prima cosa da riconoscere è che Knausgaard e Ferrante sono sorprendentemente simili. Non è solo il fatto di aver scritto entrambi cronache in più volumi che creano dipendenza, attraverso le quali gli Americani possono immaginare una loro vita europea alternativa. È che i loro romanzi esplorano temi simili raccontano anche storie simili. Karl Ove ed Elena hanno un nucleo di esperienze in comune.

Ho il sospetto che solo Elena la metterebbe in questi termini, ma una delle loro esperienze comuni è il patriarcato, soprattutto nella manifestazione della violenza maschile e le sue ripercussioni. “Non provo nostalgia per la nostra infanzia: era piena di violenza”, ci dice Elena in “Lamica geniale”.La sua furia colpì come unonda, si innalzò per le stanze, infrangendosi e infrangendosi ancora su di me”, dice Karl Ove, di suo padre, nel secondo libro di La mia lotta”. Nel quarto libro, che sarà pubblicato negli Stati Uniti il ​​mese prossimo, Karl Ove e suo fratello Yngve si ritrovano a parlare della loro infanzia e di “andare di un incidente dopo laltro”. Una volta, Yngve perse delle monetine e il padre lo buttò in cantina. Quando la ruota della sua bicicletta si sgonfiò, il padre “gonfiò” lui. “Il punto in queste storie era sempre lo stesso, la sua furia era sempre innescata da qualche particolare insignificante, qualche assoluta banalità, e come tale era, in effetti, comica. In ogni caso abbiamo riso quando le abbiamo raccontate”, scrive Karl Ove. “È stato completamente assurdo: ho vissuto nella paura di lui, ho detto, e Yngve disse che papà controllava lui e i suoi pensieri, anche adesso.

Si dice spesso che La mia lotta sia un libro sulla banalità, domesticità, e quotidianità, ma questi non sono i suoi temi principali. In fondo, si tratta di un libro sulla paura - peggiore di tutta la paura che evoca Yngve quando dice che papà controllava lui e i suoi pensieri, anche adesso. Karl Ove teme che suo padre, terrorizzandolo, lo abbia anche formato. Lo ha fatto, certo - quale bambino non viene formato dai suoi genitori? - e quando Karl Ove descrive la rabbia di suo padre e gli insignificanti fattori scatenanti, sta descrivendo anche se stesso, così come abbiamo imparato a conoscerlo nel corso di migliaia di pagine. Per Karl Ove, la possibilità che egli covi la stessa rabbia di suo padre è fonte di terrore e, soprattutto, di vergogna.

Elena e Lila vivono in un mondo più apertamente modellato da uomini capricciosi e violenti (fai la mossa sbagliata, e un uomo “ti spaccherà la faccia”), e anche la loro esperienza di vita dopo la violenza è  profondamente inquietante. Stefano, il figlio di don Achille, uno strozzino locale, sembra sinceramente convinto di essersi scrollato di dosso le tendenze violente del padre, ma si sbaglia - in un sol colpo, Elena scrive, “lombra di Don Achille potrebbe ingrossargli le vene del collo e la rete blu sotto la pelle della fronte”. (“È possibile che i nostri genitori non muoiano mai, che ogni figlio li nasconda inevitabilmente in se stesso?” chiede). Si scopre, poi, che la violenza non è solo espressa o sperimentata attraverso il corpo. La personalità di Lila si organizza intorno allidea che si deve incutere paura in coloro che vogliono incutere paura in te”. Pietro, il professore che Elena sposa, usa il suo potere in modo passivo-aggressivo: semplicemente non è in grado di trovare interessante i pensieri della moglie a meno che non rispecchino i suoi. Nessuno sapeva meglio di me cosa significasse rendere maschili i propri pensieri in modo tale che fossero accettati da una cultura di uomini”, scrive Elena.

La mia lotta e i romanzi napoletani non raccontano semplicemente la storia di questi primi anni difficili, naturalmente. Nonostante le superfici lisce, sono libri meta-romanzeschi - sia Karl Ove che Elena sono scrittori (e alter-ego autoriali) - e si estendono nel presente, quando Elena e Karl Ove stanno scrivendo i libri che stiamo leggendo. Per loro, il passato non è solo in attesa, inerte, per essere descritto: il passato ha un proprio piano, e devono lottare per vederlo chiaramente, descriverlo onestamente, e capirlo. Una gran quantità di dramma in questi libri viene da questa difficoltà nel tempo presente.

Nei romanzi napoletani, l’amica di Elena, Lila, rappresenta il passato: lenergia del quartiere dove sono cresciute è concentrata in lei, e lei è la musa di Elena. Allo stesso modo, si scrive della resistenza di Lila: Stai facendo il so-tutto-io, il moralizzatore? chiede a Elena. “Vuoi scrivere di noi? Vuoi scrivere di me? ... Verrò a guardare nel tuo computer, leggerò i tuoi file, li cancellerò”. In La mia lotta, la polarità è invertita: un passato vergognoso, turbato, e imbarazzante sembra fluire inarrestabile nel presente. Nel quarto libro, quando il padre di Karl Ove cerca di scusarsi (Ho fatto male un sacco di cose), Karl Ove suggerisce di dimenticare tutto: “Molte cose sono successe, ma non importa più”. “SI, INVECE!tuona il padre.

Sia in Knausgaard che in Ferrante, questo sforzo dello scrittore di affrontare il passato si sovrappone alla sfida giovanile di oppressione e resistenza. Si tratta di libri su giovani che tentano di liberarsi da quel che hanno ereditato, scritti da persone adulte che cercano di entrare in un rapporto corretto con i se stessi giovani. La qualità brillante di questi romanzi - il senso che in ogni paragrafo, a prescindere dal contenuto, è vitale - è il risultato di questa duplicità. Una volta, sembrano dire, ero giovane, e nonostante la paura ho resistito contro il mondo che mi veniva presentato. Adesso sono cresciuto, e il mio passato è qualcosa che devo respingere o accettare. O forse c’è un’alternativa alla resistenza e all’accettazione:  questi romanzi sembrano essere costruzioni verso idee metafisiche su come i noi stessi di oggi  si relazionino all’interezza delle nostre vite. Queste idee potranno risultare più chiare nei volumi a venire.

Ferrante e Knausgaard hanno questi grandi temi in comune. E sono anche simili in altri piccoli dettagli. Sono entrambi portati alla narrazione seriale: i loro libri sono una cosa dopo l’altra. Sono entrambi affascinati dalle emozioni forti, soprattutto quelle che sembrano inspiegabili alla luce del giorno. Entrambi scrivono - o si presume scrivano - autobiograficamente. (Perché le seriali cronache autobiografiche di emozioni raccolte in tranquillità dovrebbero essere così convincenti in questo momento? Una domanda per unaltra volta). Ci sono, al contrario, molte piccole differenze. Knausgaard è ironico, Ferrante più grave; Knausgaard è piacevole, Ferrante propulsiva; Knausgaard è un esteta, nota i momenti, mentre Ferrante è una drammaturga, un’orchestratrice di scene.

La differenza più evidente è ovvia: la politica. Le donne dei romanzi di Ferrante sono impegnate in una lotta politica, mentre Karl Ove non lo è; entrambi gli scrittori lottano con il problema della violenza maschile, ma solo i libri di Ferrante sono significativamente femministi. È allettante, quindi, dire che la politica è ciò che è in gioco nella preferenza per uno scrittore sullaltro - che i lettori dalle anime politiche, che vogliono pensare alla giustizia e alla storia, graviteranno verso Ferrante, mentre gli esteti saranno inclini a Knausgaard.

Il mio sospetto, però, è che le differenze siano più profonde di così. Nelle prime pagine del libro uno, Karl Ove, da bambino, guarda, in televisione, unoperazione di ricerca e salvataggio in mare. Tra le onde, crede di vedere un volto - “Fisso la superficie del mare senza ascoltare quel che dice il giornalista, e allimprovviso emerge la sagoma di un volto”, scrive. Ne è così affascinato, così trasportato, che corre a dirlo al padre, che lo rimprovera (“Adesso cerchiamo di non sentire più nulla riguardo quel volto”). Da adulti, scrive in seguito, “Il nostro mondo è racchiuso intorno a sé, intorno a noi, e non cè via di uscita”. Allo stesso modo, è portato a credere che ci sia qualcosa al di là del mondo racchiuso - qualcosa che non parlava, e che nessuna parola potrebbe cogliere, quindi per sempre fuori della nostra portata, ma al suo interno, perché non solo ha circondato noi, eravamo noi stessi parte di esso, eravamo noi stessi suoi”. Parte della magia di La mia lottaè che va, di volta in volta, in questo altro mondo inconoscibile. A differenza di Ferrante, Knausgaard è nostalgico nei confronti della sua infanzia, perché mentre era nel suo momento più vulnerabile, al contempo era anche nel più ricettivo. Questa scena, collocata proprio allinizio di La mia lotta, delinea cosa cè in gioco nel romanzo nel suo complesso: si svolgerà in un universo ampio e inconoscibile, e sarà unesplorazione di ricettività, in tutte le sue varietà.

Il senso della realtà di Ferrante, non è trascendente in questo modo. Nei suoi libri, il prestigio si ottiene nel qui-e-ora e non altrove. Quando Elena incontra Lila da adulta, Lila comunica, attraverso la diffidenza, la dignità e limmersione nelle sue circostanze, lidea che il mondo reale è questo mondo, esattamente comè:
Lei mi stava spiegando che non avevo vinto nulla, che nel mondo non cè nulla da vincere, che la sua vita era piena di avventure varie e folli quanto la mia, e che il tempo semplicemente scivolava via senza alcun significato, ed era bello vedersi anche solo ogni tanto per sentire il suono folle del cervello di una fare eco nel suono folle del cervello dellaltra.
Si tratta di due visioni della realtà. Knausgaard ci offre accenni dellaldilà mentre Ferrante ci offre la dignità e la concretezza del mondo che condividiamo. Solitudine o amicizia; spiritualità o materialità; linvisibile o ciò che è proprio di fronte a voi; il mondo inconoscibile o il mondo così comè - questi sono alcuni degli impegni che stanno dietro la nostra preferenza per Knausgaard o Ferrante.