Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: iVillage.ca, by Alanis
Morissette
Poche cose
mi irritano quanto chi commenta in modo dispregiativo il peso di
qualcun altro, quando non hanno affrontato in prima persona un
disturbo alimentare.
Ridurre
bruscamente e sbrigativamente l’arduo percorso di qualcuno a una
battuta sulla necessità che mangi meno hamburger – o anche al
contrario, che “dovrebbe mangiare un panino” – sottovaluta
totalmente le complessità più profonde e sottili a portata di mano
(o di cuore, o di bocca, in questo caso). Per lo meno, ignora
l’epidemia di una società ossessionata da un’estetica della
magrezza dove, una volta raggiunta, deride quello stesso obiettivo
come malato e pericoloso. Cosa può fare una ragazza perfezionista e
motivata?
Se mai ci
fosse una lama a doppio taglio, sarebbe questa. Noi, colpiti della
varietà di standard di Hollywood (leggi: purtroppo, il mondo)
lavoriamo con le unghie, con i denti, e i tapis roulant per aderire a
questo numero (nastro di misurazione, scala e altro) che aleggia
direttamente sotto qualunque cosa consenta di cedere a un cupcake qua
e là, e quando lo facciamo, sollecitiamo confusamente sguardi
interessati di ammonimento o complimenti su "quanto stiamo
bene". Mi ricordo quando ero all’apice della mia magrezza,
sentendomi come se riuscissi a malapena a trascinare il mio corpo
letargico in giro, solo per essere sommersa dal maggior numero di
complimenti che abbia mai ricevuto.
Non credo
sia una coincidenza che l’America venga derisa per i suoi livelli
di obesità, ma sia anche un paese ossessionato con la magrezza.
Questo approccio tutto-o-niente è endemico nella nostra società
occidentale. Allo stesso modo, e forse più forte, quando qualcuno
già dentro la lotta con il cibo, scala il tappeto rosso di
Hollywood, i commenti si buttano su quanto sia indulgente e
indisciplinato.
C’è una
cosa che so nel profondo, ed è che non incontrerete mai una persona
più testarda, disciplinata, motivata e colta sull’alimentazione di
qualcuno che è alle prese con un disturbo alimentare! L’idea che
le persone con dipendenze alimentari siano indisciplinate è un’altra
madornale percezione sbagliata tra le tante. Raramente incontrerete
qualcuno che ha una capacità di moderazione superiore rispetto a chi
sta lottando con il dolore o la paura che colpisce in modo
sintomatico il peso.
Per
discutere in modo derisorio del grasso senza discutere dei nostri
sentimenti e traumi e del nostro senso di disconnessione dalla nostra
anima, noi stessi, e l’un l’altro, ci si concentra sull’effetto
e non sulla causa. Questa svista perpetua l’auto-abuso che alimenta
questo e molti altri disturbi e dipendenze.
Il rapporto
con il cibo non può essere affrontato singolarmente attraverso la
rigida struttura di un piano-di-dieta-e-cibo, o uno schiaffo sulla
mano. Il nostro indirizzamento nei confronti del cibo oltre alle
ragioni di sostentamento fa parte degli aspetti multistrato
dell’essere umano. Alcuni di essi sono:
I nostri
mondi emozionali: Ci sono spesso traumi e abusi/abbandoni che
implorano di essere guariti. Il grasso può essere un modo per
proteggere noi stessi e sopravvivere, un modo per controllare
qualcosa in un mondo dove tutto sembra fuori controllo, e un modo per
allontanare la paura profonda di sentire i nostri sentimenti. Spesso
trovo che ansia, paura, noia, delusione, solitudine, eccitazione e il
dolore siano i principali sentimenti che il cibo può tentare di
sopprimere.
I nostri
mondi sociali: Viviamo in una società che scoraggia in particolare
il sentire questi sentimenti. Quindi, non ci resta che trovare dei
modi per contenere i nostri sentimenti nella migliore delle ipotesi,
cancellarli nel peggiore dei casi. Diventiamo creativi su come
schiacciare questi sentimenti, e il cibo è un modo come un altro per
farlo. Ci sono persone che dicono che il condizionamento e lo
standard sociale sia più difficile per le donne, ma così tanti
uomini vivono sfide alimentari che sono riluttante a dire che si
tratta solo condizione femminile. E poi ci sono i nostri confronti
critici a standard che implicano che se siamo lontani dal modello
figura-a-scopa-con-addominali dei nostri tempi, siamograssi maiali.
E poi c’è
la componente fisiologica: Picchi glicemici, depressione, ormoni,
fame e personale-ritmo-dell’appetito sfiduciano (è interessante,
perché insegnato a noi da un’età molto precoce involontariamente
da genitori dalle buone intenzioni con la mentalità
finisci-quello-che-hai-nel-piatto). Ci sono considerazioni tiroidee,
predisposizioni genetiche, malattie, infortuni e la dipendenza fisica
agli additivi nella dieta americana standard. Il cibo può anche
servire come un conforto che non ci viene offerto attraverso il
tatto.
Così
spesso, piuttosto che vedere l'aumento di peso di qualcuno come
sintomo di qualcosa, sono etichettati automaticamente come "grasso"
o "disgustoso". Non solo questo è dolorosamente
riduzionista, manca tutto quello che potrebbe essere l'antidoto e il
balsamo di guarigione a questa epidemia, e isola maggiormente coloro
che sono coinvolti in un mondo molto solitario di incomprensione e
ostracismo.
Il "fatism" [N.d.T.1]
è un 'ismo' come qualsiasi altro, ma la nostra cultura chiude un
occhio verso quella particolare versione di separatismo. Forse è la
paura delle nostre stesse fragilità e umanità che ci fa desiderare
di abbassare lo sguardo dal grasso che vediamo. Se ce ne si
allontana, non dobbiamo guardare a queste complessità dentro di noi.
Forse è più facile etichettare una persona grassa con qualità che
non ci piacciono di noi stessi piuttosto che cercare di saperne di
più su ciò che sono le loro vulnerabilità e cosa li rende così.
Credo che un
antidoto a questo e a molti altri dolori del mondo potrebbe essere
trovato in due cose: la coltivazione del nostro impulso naturale di
essere curiosi, a guardare più in profondità, direttamente nelle
sottigliezze di quello che potrebbe star succedendo (in questo caso,
con il nostro rapporto con il cibo, il grasso e l'esercizio fisico) e
favorire la mossa coraggiosa e audace di trasformare i pregiudizi
verso ciò che ci fa orrore, come un modo per ridurre la sua presa su
di noi.
Penso che
l'effetto di applicare queste due qualità rivelerebbe ciò che io
credo veramente che siamo profondamente come popolo americano: gente
compassionevole, coraggiosa e generosa.
Ecco, il mio
difficile rapporto con il cibo e il grasso è sempre stato un invito
discreto a una più profonda gentilezza nei confronti di me stessa
(che ho così spesso ignorato). Essere gentile verso la mia fragilità
di fronte ad un messaggio monolitico di perfezionismo e di
intolleranza non è stato un percorso facile - né, mi vergogno a
dire, coerente. Scriverne aiuta.
Il grasso, a
differenza di altri disturbi e dipendenze più segreti, si esprime ed
è esposto all'esterno perché tutti vedano. Essendo così, faremmo
bene a vedere il "peso indesiderato" come
quello-che-ancora-va-indagato, piuttosto che come un francobollo
delle nostre inadeguatezze confermate.
Così per
l'amore di far parte di questa conversazione più ampia intorno al
fatism-della-cultura-pop, la prossima volta che vediamo qualcuno
affrontare una dieta yo-yo e che ha una relazione tormentata con il
cibo e il proprio corpo, piuttosto che prenderlo in giro, supplico
tutti noi di mettere in pausa e di offrire un po' di curiosità per
ciò che si nasconde sotto e, se fosse il caso, forse anche muoversi
verso di esso.
Forse questa
gentilezza può lentamente fare in modo che noi del gruppo
più-pesanti-di-Twiggy ci sentiamo meno soli, meno relegati, meno
abbandonati. E forse allora possiamo, delicatamente, iniziare ad
accettare (e addirittura amare) queste parti più profonde e più
fragili di noi stessi che vengono represse ed espresse attraverso il
nostro corpo e il cibo. E così facendo, ci libererà di nuovo alla
totalità, espressione unica essenziale, e al peso per cui siamo
nati.
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Morissette su Twitter @morissette.
Note del
Traduttore
N.d.T.1:
"Fatism" (o "fattism") è un termine gergale per
esprimere discriminazione nei confronti delle persone in sovrappeso.