Traduzione
di: Silvia Scuotto
Originally
appeared on: Medical Daily, by Ali Venosa
Il
pregiudizio è, purtroppo, una parte comune dell'interazione umana.
La gente giudica e stereotipizza continuamente, anche quando non
intendono farlo consapevolmente. Questi modi di pensare emergono
naturalmente come parte del modo in cui funziona il cervello umano, e
il modo in cui tendiamo a conformarci come specie. Un nuovo studio
condotto da scienziati guidati dal Korolinska Institutet ci ha dato
qualche informazione in più sul modo in cui il nostro cervello crea
il pregiudizio, che in futuro potrebbe aiutarci per imparare a
eliminarlo.
Perché
formiamo i pregiudizi?
Il pregiudizio è generalmente definito come un giudizio o un'opinione
prevenuta su qualcosa o qualcuno che non ha fondamento di fatto o
ragione. Cioè, le persone che hanno pregiudizi contro qualcuno,
spesso giudicano senza prestare attenzione ai fatti caso-per-caso, ma
piuttosto affidandosi a un parere memorizzato riguardo il gruppo al
quale quella persona appartiene. I pregiudizi spesso portano a
stereotipi e discriminazione, e possono rivolgersi contro tutti i
tipi di gruppi sociali, tra i quali genere, origine etnica o status
sociale.
Sembra che
la nostra tendenza come esseri umani a diventare prevenuti derivi dal vantaggio evolutivo della categorizzazione. Raggruppare mentalmente
le cose ci aiuta a dare un senso al mondo che ci circonda, che spesso
bombarda il nostro cervello con una quantità ingestibile di
informazioni. Per passare al setaccio tutti questi input, il cervello
cerca di creare categorie con descrizioni generali che può
rapidamente riordinare in informazioni. Questa categorizzazione non
si applica solo alle cose e le persone intorno a noi, ma anche a noi
stessi, e abbiamo la tendenza a gravitare verso coloro che riteniamo
essere come noi.
Il
pregiudizio si verifica quando etichette generalizzate di "buono"
o "cattivo" sono applicate a interi gruppi. Quando le
persone decidono il loro "gruppo di appartenenza", o il
gruppo a cui sentono di appartenere, tutti gli altri gruppi sono per
default "gruppi di non appartenenza". C'è un'innata
propensione nei confronti del proprio gruppo, non solo a percepirlo
come migliore del "gruppo di non appartenenza", ma a essere
più accogliente nei confronti dei singoli difetti di individui
all'interno del "gruppo di appartenenza", cosa che diventa
molto rilevante nello studio discusso più avanti.
In termini
evolutivi, è stato utile per sviluppare una tendenza verso i "gruppi
di non appartenenza" perché erano visti come concorrenza quando
le risorse erano limitate. I "gruppi di non appartenenza"
possono essere visti anche come una minaccia per la propria cultura,
lingua, e usi.
Pregiudizio
nel cervello
Al suo
livello più elementare, il pregiudizio è un'associazione di uno
stimolo a una risposta comportamentale. Sebbene a volte le nostre reazioni siano utili per la sopravvivenza (per esempio: sentiamo un
orso che viene verso di noi, il cervello ci dice di essere
spaventati), il cervello umano può anche far squillare falsi allarmi
su stimoli che non sono realmente una minaccia. È molto più sicuro
essere eccessivamente prudenti, ma il pregiudizio è un esempio
lampante di come la tendenza di un essere umano di valutare
erroneamente che qualcosa sia pericoloso possa causare problemi ai
giorni nostri.
Diversi
studi hanno cercato di esaminare i processi neurali coinvolti nel
pensare con i pregiudizi. L'amigdala, una struttura del cervello
fortemente associata con il condizionamento alla paura nel cervello,
è stato al centro della ricerca su dove e come formiamo il
pregiudizio inconscio. In uno studio del 2007, a un gruppo di maschi
bianchi sono stati mostrati volti sconosciuti che variavano nel tono
della pelle da molto chiaro a molto scuro. È stata osservata nei
partecipanti una maggiore attività dell'amigdala durante la
visualizzazione di volti neri in in opposizione al bianco, a
prescindere da quanto fossero scuri i volti neri.
Questi
pregiudizi inconsci non si applicano soltanto ai pregiudizi razziali,
ma anche a genere, sessualità, etnia, e provenienza sociale.
Come
entra in gioco il condizionamento alla paura
Un altro
modo in cui può sorgere il pregiudizio è attraverso l'apprendimento
condizionato. Se una persona subisce un'esperienza negativa o
pericolosa con qualcuno che categorizzano come appartenente a un
"gruppo di non appartenenza", è probabile che associno
l'intero "gruppo di non appartenenza" con quella esperienza
negativa. Perché, però, non diventiamo prevenuti nei confronti di
chi è nel nostro gruppo? Sicuramente tutti noi abbiamo avuto una
brutta esperienza con qualcuno nel nostro "gruppo di
appartenenza" in un certo punto della vita, ma non abbiamo
creato pregiudizi verso il gruppo nel suo complesso.
La ragione
di ciò può essere più chiara grazie allo studio del Karolinska
Institutet. I ricercatori hanno trovato differenze di attività
cerebrale dopo un'esperienza avversa a seconda se l'esperienza è
stata con un membro del proprio gruppo, o di qualcuno proveniente da
un "gruppo di non appartenenza".
Nello
studio, sono state mostrate a 20 soggetti bianchi immagini di volti
sia bianchi che neri. Un volto in ciascun gruppo razziale è stato
abbinato a una piccola scossa elettrica al partecipante - uno stimolo
avverso. È stato mostrato loro nuovamente il giro di immagini per
dimostrare che erano in realtà al sicuro, e il giorno dopo hanno
partecipato a un compito interattivo sociale, progettato per misurare
l'attività cerebrale e il comportamento quando entravano in contatto
con le diverse immagini.
I risultati
hanno mostrato che i partecipanti hanno avuto ricordi esagerati dello
stimolo avverso associato al volto del "gruppo di non
appartenenza". L'amigdala vi ha svolto un ruolo chiave, e ha
previsto successive espressioni di comportamenti discriminatori nei
confronti di nuovi membri del "gruppo di non appartenenza"
durante il compito interattivo.
“Un certo
numero di studi di neuroimaging hanno studiato le componenti neurali
di acquisizione ed estinzione delle paure, e molti altri hanno
esaminato la percezione passiva di volti di "gruppi di
appartenenza" e "gruppi di non appartenenza"”, hanno
scritto i ricercatori. “I nostri risultati vanno al di là di
queste osservazioni, mostrando che i processi di apprendimento di
base variano a seconda di chi stiamo imparando a temere o detestare,
e che queste differenze possono prevedere una polarizzazione verso i
"gruppi di non appartenenza" durante il successivo richiamo
della memoria e il comportamento interattivo.”
Cosa
possiamo fare?
L'empatia è
stata citata come il fattore chiave per decostruire i pregiudizi
radicati. Il metodo più efficace finora per ridurre i pregiudizi è
chiamato "ipotesi di contatto". Questo suggerisce che
quando le persone entrano realmente in contatto con i membri di un
"gruppo di non appartenenza", hanno più probabilità di
sviluppare pareri positivi su di loro. Il contatto deve essere
significativo e prezioso per entrambe le parti, al fine di ridurre
efficacemente il pregiudizio. Ancora più importante, essere
consapevoli dei propri pregiudizi è il primo passo per ridurli.
---
Fonti:
Molapour T,
Golkar A, Navarrete C, Haaker J, Olsson A. Neural correlates of
biased social fear learning and interaction in an intergroup context.
Neuroimage. 2015.
Ronquillo J,
Denson T, Lickel B, Lu Z, Nandy A, Maddox K. The effects of skin tone
on race-related amygdala activity: an fMRI investigation. Social
Cognitive and Affective Neuroscience. 2007.
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