giovedì 28 gennaio 2016

La Napoli di Elena Ferrante, allora e adesso.

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: The New York Times, by Ann Mah
http://www.nytimes.com/2016/01/17/travel/elena-ferrante-naples.html?smid=fb-nytimes&smtyp=cur&_r=0


Il Vesuvio si staglia su Napoli. La città è lo sfondo dei quattro romanzi best seller di Elena Ferrante.

Il centro storico di Napoli è intriso del fascino del vecchio mondo - bucato sbiadito steso tra gli edifici, pescherie che rovesciano vasche di vongole e anguille sul marciapiede, pasticcerie nascoste nei pressi di chiese rinascimentali.

Ma io stavo cercando qualcos'altro. Ero arrivata a Napoli senza una guida o anche una mappa, alla ricerca di un quartiere scapigliato di "muri scrostati" e "porte graffiate", dove la "grigia miseria" degli edifici si scontrava con la passione e la repressione dei personaggi della scrittrice Elena Ferrante. Armata solo della sua serie di romanzi napoletani, ero alla ricerca di una città che - attraverso i quattro pesanti volumi, best seller sia negli Stati Uniti che in Italia - era diventata essa stessa un personaggio: pericolosa, sporca e seducente, il luogo che tutti anelano di lasciarsi alle spalle, e il luogo non possono scuotere.

Come ho potuto scoprire durante una visita nel mese di settembre, la serie di libri ha offerto una panoramica unica di questa città complicata, portandomi lontano dai luoghi turistici più famosi e aiutando a spiegare le divisioni sociali, economiche e geografiche della città. Vedere la Napoli della signora Ferrante è vedere Napoli come un nativo.

Spaccanapoli divide Napoli a metà

Elena Ferrante è lo pseudonimo dell'autrice di sette libri, in particolare dei romanzi napoletani – ritratti grintosi e inflessibili di un'amicizia femminile ambientata in un contesto di sconvolgimenti politici e sociali in Italia dagli anni 50 ad oggi. Fin dalla pubblicazione nel 2012 del primo libro della serie, "L'amica geniale", la signora Ferrante è diventata uno dei più grandi enigmi della letteratura moderna – avversa ai media e fermamente anonima. Anche il sesso dell'autrice è stato motivo di speculazione; la biografia ufficiale della casa editrice, tuttavia, si riferisce a lei come una donna, e offre un unico dettaglio personale: "Elena Ferrante è nata a Napoli".

Il quartetto di romanzi - che comprende anche "Storia di un nuovo cognome", "Storia di chi fugge e di chi resta" e "Storia della bambina perduta" - ripercorre la vita di Elena Greco e Raffaella Cerullo, due ragazze di un triste rione di Napoli, un quartiere caratterizzato da povertà, vendette mafiose, e violenza. Nate a qualche settimana di distanza, nell'agosto del 1944, le ragazze - che si chiamano l'un l'altra Lenù e Lila - sono migliori amiche e feroci rivali, che si spronano a vicenda per ottenere il più brillante rendimento scolastico.

Lenù, prudente e coscienziosa, alla fine fugge dal quartiere per mezzo dello studio diligente (e scambia il suo soprannome d'infanzia per il suo nome di battesimo, Elena). Lila, impulsiva e audace, divampa attraverso la vita, gli occhi socchiusi come spiragli, una "ragazza terribile, abbagliante", che spinge Lenù ad atti audaci - come nel giorno in cui la coppia salta la scuola e, per la prima volta nella loro giovane vita, cercano di "attraversare i confini del quartiere" alla scoperta di una presenza invisibile, "una vaga memoria blu": il mare.

Mentre passeggiavo a ovest, lungo una stradina del centro storico, gli occhi accecati dal sole del tardo pomeriggio, con una serie di edifici ravvicinati a orlare la vista del cielo e gli odori della cucina, il mare si sentiva davvero lontano. La mia amica, Paola, mi ha detto: "Questa la chiamiamo Spaccanapoli. Significa Napoli divisa a metà".

Come molte antiche città romane, mi ha spiegato, Napoli era stata pianificata lungo decumani paralleli, strade con un orientamento est-ovest. Questa particolare strada attraversa il cuore della città. "Più a est si va", ha detto Paola, una napoletana nativa, "più poveri sono i quartieri".

Ho camminato per un isolato o due, e il Golfo di Napoli mi è balenato davanti, tutto turchese scintillante. Era plausibile che a 10 anni Lenù e Lila avessero passato tutta la loro vita senza intravedere la caratteristica distintiva di questa città portuale? La risposta, lo sapevo, si trovava oltre il quartiere turistico, per le strade squallide del loro rione.

Con l'aiuto di Irene Caselli, una giornalista originaria di Napoli, ora con sede a Buenos Aires, mi ero avvicinata a identificare il loro quartiere: era quasi certamente il Rione Luzzatti. Però, mi ha messo in guardia: "Ha una reputazione pericolosa, degradante. Non ci andare dopo il tramonto. Non camminare da sola".

Il Rione Luzzatti confina a est con la stazione centrale e a nord con la prigione, Poggioreale. "Non è così lontano", ha detto Paola - in effetti, è a meno di 5 chilometri dal centro storico - "ma si tratta di una distanza mentale". Considerata la reputazione della zona per il crimine, ho assunto una guida locale, Francesca Siniscalchi, che, come praticamente tutte le donne che ho incontrato a Napoli, è una fan accanito della Ferrante.

Napoli ha molti quartieri, compresi i quartieri Spagnoli.

Vagando attraverso la città in taxi, la signora Siniscalchi mi ha mostrato i luoghi a cui si fa riferimento nei libri: il "Rettifilo", una via commerciale dove Lila acquista il suo abito da sposa; l'irregolare Piazza Municipio, dove il padre di Elena lavora come usciere comunale; il mastodontico, grigio Liceo Classico Garibaldi, il liceo di Elena.

"La sua interpretazione di Napoli non è solo una cartolina - è un mosaico di emozioni forti e dirompenti", ha detto la signora Siniscalchi dei libri. "Lei dà un'eccellente descrizione di tutte le opportunità perse da ogni singola generazione nel sud Italia. Quando ho finito l'ultimo libro, ho pianto".

Nel Rione Luzzatti, abbiamo trovato un ammasso di edifici squallidi, striati di sporco, le finestre strette coperte dal bucato come fossero tende, macchie di erba incolta, vuoti marciapiedi cosparsi di rifiuti, nonostante il sole di fine estate. Voci si scontravano in profondità all'interno di uno degli appartamenti di un palazzo, suggerimento che le persone erano in casa e, forse, ci guardavano. Il bar-pasticceria e il calzolaio dei libri mancavano; un venditore di frutta-e-verdura mostrava la merce da un camion piuttosto che da un carretto trainato da un cavallo. Ma nonostante queste piccole differenze, non avevo bisogno di alcuno sforzo di immaginazione per vedere il quartiere di Elena e Lila. Qui, in questo "cumulo offuscato e distante" di "indistinguibili detriti urbani", il mare mi sembrava davvero una fantasia.

Dopo il rione, l'eleganza patinata di Chiaia, il quartiere benestante dello shopping in città, mi ha colpito come un colpo di bastone. Da adolescenti, la prima incursione di Elena e Lila qui le lascia stupefatte dalle donne chic che sembrano "aver respirato un'altra aria", scrive la signora Ferrante, "aver imparato a camminare su aliti di vento". Anche se la passeggiata finisce in violenza, quando un branco di ragazzi ricchi chiama il loro gruppo "bifolchi" e segue uno scontro sanguinoso, queste strade giocano un ruolo durante la serie - il lussuoso yin del desolato yang del rione.

Il quartiere benestante dello shopping di Chiaia.

Dopo aver girovagato lungo Via Chiaia in mezzo a una folla di gente del posto alla moda, mi sono fermata in Piazza dei Martiri a cercare Solara, il negozio di scarpe che Lila decora con una gigantesca copia sfigurata di una sua foto in abito da sposa, creando un'immagine artistica del suo corpo "crudelmente affettato". Invece ho trovato una boutique di Salvatore Ferragamo e, in tutta la piazza maestosa, la libreria Feltrinelli, che esponeva pile di libri della signora Ferrante.

Mentre Elena e Lila avanzano dalla giovinezza alla mezza età, si trovano ad affrontare un periodo di tumultuosa rivoluzione sociale - femminismo radicale, manifestazioni del 1968, amici che si dilettano nel comunismo militante - e la loro speranza giovanile alla fine si trasforma in disillusione. "Mi sono sentita allo stesso modo - colpevole, autocritica", mi ha detto Anna Maria Palermo, docente presso l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale". Eravamo nel suo arioso appartamento, circondato da mura di libri, pavimenti in mattonelle di terracotta, e grandi finestre che incorniciano la vista sul Golfo di Napoli. "Nel 1968, avevamo così tanta sensazione di potere. Ero sicura che avremmo potuto cambiare tutto".

La signora Palermo è nata nel 1943, un anno prima delle protagoniste della signora Ferrante, da una famiglia borghese di Napoli. Eppure, si è identificata con i libri. "C'è una napoletanità che taglia attraverso i livelli sociali. Lei comunica molto bene questa cosa. Questi romanzi vanno in profondità nelle nostre anime", ha detto. "Sono molto legata a questa città, ma è come la sirena di Capri - qualcosa ti incanta, ma qualcosa ti disgusta dentro", ha detto, riferendosi alle sirene dell' "Osissea", che ammaliavano i marinai portandoli alla morte con le loro dolci canzoni.

Nei libri, la battaglia di Elena e Lila contro la Camorra, l'inevitabile Mafia locale, è la loro missione di vita, il loro più grande impegno, rappresentata come una lotta insostenibile e senza speranza. "La Camorra è parte della nostra storia", ha detto la signora Siniscalchi, la mia guida. "Risale al 17° secolo. Al giorno d'oggi, è stata addirittura collegata al governo. Crescere a Napoli è una battaglia quotidiana".

Dalla terrazza baciata dal sole della signora Palermo, tuttavia, la presenza persistente e violenta della Mafia nella città sembrava una fantasia oscura e distante. A Posillipo, un ricco quartiere residenziale che si affaccia sul golfo, il mare è inevitabile, abbagliante da ogni angolazione.

Ho pensato a una scena nel terzo libro della serie, "Storia di chi fugge e di chi resta", quando Elena passeggia da sola per Napoli all'alba, riflettendo sul paesaggio della città e la sua influenza su tutta la sua identità. "Chissà quale sensazione avrei avuto su Napoli, su di me, se mi fossi svegliata ogni mattina non nel mio quartiere, ma in uno di quei palazzi lungo la riva", riflette.

Davanti a me, il golfo scintillava, una distesa ondeggiante di blu ricoperto dalla massa incombente del Vesuvio. Da qui, il rione era completamente scomparso.

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Ann Mah, che contribuisce frequente alla sezione Viaggi, è l'autrice di "Mastering the Art of French Eating".

Una versione di questo articolo appare in stampa il 17 gennaio 2016, a pagina TR1 dell'edizione di New York con il titolo: Elena Ferrante’s Naples, Then and Now

lunedì 11 gennaio 2016

In che modo la lingua che parli cambia la tua visione del mondo

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: The Conversation, by Panos Athanasopoulos
http://theconversation.com/how-the-language-you-speak-changes-your-view-of-the-world-40721


Chi parla tedesco pensa di più ai propri obiettivi


Le persone bilingue hanno tutti i vantaggi. Prospettive di lavoro migliori, una spinta cognitiva e persino protezione contro la demenza. Ora una nuova ricerca mostra che possono anche vedere il mondo in modo diverso a seconda della specifica lingua in cui operano.

Gli ultimi 15 anni hanno visto una straordinaria quantità di ricerche sulla mente bilingue, con la maggioranza delle prove che indicano i vantaggi tangibili di utilizzare più di una lingua. Andando avanti e indietro tra le lingue sembra essere una sorta di esercizio per la mente, che spinge il cervello a essere flessibile.

Proprio come l'esercizio regolare dà al vostro corpo alcuni benefici biologici, controllare mentalmente due o più lingue dà al vostro cervello benefici cognitivi. Questa flessibilità mentale paga grandi dividendi soprattutto andando avanti con gli anni: i segni tipici dell'invecchiamento cognitivo si verificano più tardi nelle persone bilingue - e l'insorgenza di malattie degenerative correlate all'età, come la demenza o l'Alzheimer, tardano nelle persone bilingue anche di cinque anni.

I tedeschi sanno dove stanno andando

Nella ricerca che abbiamo recentemente pubblicato su Psychological Science, abbiamo studiato persone bilingue e monolingue tedesco-inglese, per scoprire come diversi modelli di linguaggio facciano variare il modo in cui reagiscono agli esperimenti.
Sta camminando? O cammina verso l'auto?

Abbiamo mostrato a parlanti bilingue tedesco-inglese video clip di eventi contenenti un movimento, come una donna che cammina verso una macchina o un uomo in bicicletta diretto al supermercato, e poi abbiamo chiesto loro di descrivere le scene.

Quando si danno scene come queste a tedeschi monolingue, tenderanno a descrivere l'azione, ma anche l'obiettivo dell'azione. Così tenderebbero a dire "Una donna cammina verso la sua auto" o "un uomo pedala verso il supermercato". I parlanti monolingue inglese descriverebbero semplicemente quelle scene come "Una donna sta camminando" o "un uomo sta andando in bicicletta", senza menzionare l'obiettivo dell'azione.

La visione del mondo assunta dai parlanti tedeschi è di tipo olistico - tendono a guardare l'evento nel suo complesso - mentre gli anglofoni tendono a focalizzarsi sull'evento e concentrarsi solo sull'azione.

La base linguistica di questa tendenza sembra essere radicata nel modo in cui i diversi strumenti grammaticali situano le azioni nel tempo. La lingua inglese richiede ai suoi parlanti di marcare grammaticalmente gli eventi che sono in corso, applicando obbligatoriamente il morfema -ing: “I am playing the piano and I cannot come to the phone” [N.d.T.1] o “I was playing the piano when the phone rang” [N.d.T.2]. Il tedesco non ha questa caratteristica.

La ricerca con gli utenti di seconda lingua mostra una relazione tra competenze linguistiche in tali costruzioni grammaticali e la frequenza con cui i parlanti menzionano gli obiettivi degli eventi.

Nel nostro studio abbiamo anche scoperto che queste differenze nelle comparazioni linguistiche vanno oltre l'uso del linguaggio stesso, alla categorizzazione non verbale degli eventi. Abbiamo chiesto a parlanti monolingue inglesi e tedeschi di guardare una serie di video clip che mostravano persone camminare, in bicicletta, correre, o guidare. In ogni serie di tre video, abbiamo chiesto ai soggetti di decidere se una scena con un obiettivo ambiguo (una donna cammina lungo una strada verso una macchina parcheggiata) fosse più simile a una scena chiaramente orientata agli obiettivi (una donna cammina ed entra in un edificio) o una scena priva di obiettivi (una donna cammina lungo una strada di campagna).

I parlanti monolingue tedeschi hanno abbinato le scene ambigue con le scene con un obiettivo mirato più frequentemente dei parlanti monolingue inglesi. Questa differenza rispecchia quella trovata nell'utilizzo della lingua: i parlanti tedeschi sono più propensi a concentrarsi sui possibili esiti delle azioni delle persone, ma gli anglofoni prestano maggiore attenzione all'azione stessa.

Scambio di lingue, cambia la prospettiva

Quando si trattava di parlanti bilingue, sembravano passare da una prospettiva all'altra in base al contesto linguistico dato. Abbiamo scoperto che i tedeschi fluenti in inglese erano altrettanto focalizzati sull'obiettivo come qualsiasi altro madrelingua durante il test in tedesco nel loro paese d'origine. Ma un gruppo simile di parlanti bilingue tedesco-inglese testati in inglese nel Regno Unito erano focalizzati sull'azione tanto quanto i madrelingua inglesi.

In un altro gruppo di bilingue tedesco-inglese, abbiamo tenuto una lingua in prima linea nella loro mente durante il compito di combinazione dei video, facendo ripetere ai partecipanti sequenze di numeri ad alta voce in inglese o in tedesco. Distrarre una lingua sembrava portare automaticamente l'influenza dell'altra in primo piano.

Quando abbiamo "bloccato"
l'inglese, i bilingue si comportavano come tipici tedeschi e vedevano i video ambigui come più orientatati agli obiettivi. Con il tedesco bloccato, i soggetti bilingue si sono comportati come anglofoni e hanno abbinato scene ambigue e aperte. Quando abbiamo sorpreso i soggetti cambiando la lingua dei numeri di distrazione a metà dell'esperimento, il focus dei soggetti su obiettivi o azioni è cambiato con essa.

Questi risultati sono in linea con altre ricerche che mostrano un comportamento diverso nei parlanti bilingue in base alla lingua di funzionamento. Gli arabi israeliani sono più propensi ad associare nomi arabi come Ahmed e Samir con parole positive in un contesto in lingua araba che in uno in lingua ebraica, per esempio.

Alcuni confermano di sentirsi come persone diverse all'utilizzo di una lingua o l'altra, e che esprimere certe emozioni porta una diversa risonanza emotiva a seconda della lingua che stanno utilizzando.


Anche nel giudicare il rischio, i bilingue tendono a prendere decisioni economiche piùrazionali in una seconda lingua. In contrasto con la propria prima lingua, tendono a mancare i profondi e fuorvianti pregiudizi affettivi che influenzano indebitamente il modo in cui sono percepiti rischi e benefici. Così la lingua che si parla può davvero influenzare il modo di pensare.



Note del Traduttore
N.d.T.1: "Sto suonando il pianoforte e non posso venire al telefono"
N.d.T.2: "Stavo suonando il pianoforte quando squillò il telefono"