domenica 6 marzo 2016

‘House of Cards’: 5 cose da ricordare prima di vedere la quarta stagione.

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: The New York Times, by Jen Chaney


Kevin Spacey in “House of Cards.”
David Giesbrecht / Netflix

La terza stagione di "House of Cards" si è conclusa praticamente in sospeso, con il presidente Frank Underwood che chiamava sua moglie, Claire, mentre lei usciva dalla Casa Bianca e, apparentemente, dal loro accordo matrimoniale e politico.

La quarta stagione, che è stata rilasciata su Netflix venerdì, riprende dal momento in cui ci aveva lasciato, pur continuando a seguire Underwood nella sua corsa per la rielezione.

Prima di trovarci in un altro casino, ecco alcuni punti da tenere a mente su alcuni dei personaggi principali dello show.


La partenza di Claire Underwood potrebbe essere molto dannosa per la rielezione del marito.
La frattura della scorsa stagione nel rapporto degli Underwood si è aggravata principalmente a causa di due eventi. Il primo riguarda le dimissioni di Claire come ambasciatore delle Nazioni Unite, scelta alla quale era stata costretta quando Frank ha promesso al presidente russo Viktor Petrov che lui l'avrebbe convinta a dimettersi. Il secondo avviene quando Claire legge un estratto della bozza del libro di Tom Yates, che descrive il matrimonio della coppia presidenziale come un'unione di eguali, spingendo Claire a realizzare la mancanza di verità in questa osservazione.

Quando ha provato a discutere delle sue preoccupazioni con Frank, lui le ha risposto come fanno tutti i mariti amorevoli: le ha stretto violentemente il viso tra le mani, dicendole di iniziare a fare il suo lavoro di supporto come first lady, altrimenti... Taglio sul rumore dei tacchi di Claire verso la porta d'ingresso della Casa Bianca, come se stesse interpretando la propria versione di "Donne" [N.d.T.].

Il candidato democratico Heather Dunbar e l'ex candidato Jackie Sharp hanno unito le forze.
Nella scorsa stagione, il tentativo di Dunbar di ricattare Underwood utilizzando il diario di Claire - che conteneva alcune informazioni dannose riguardanti la storia dell'aborto della first lady – le si era rivoltato contro. Ma nonostante abbia perso le primarie dell'Iowa, Dunbar ha ora Jackie Sharp dalla sua parte. E Sharp, alla quale precedentemente era stata promessa la vicepresidenza se avesse abbandonato la gara e appoggiato Underwood, è una politica esperta con buone ragioni per essere risentita con Frank, che l'ha gettata sotto un autobus nel corso di un dibattito democratico dal vivo.

Doug Stamper sta di nuovo "bene" ed è tornato al subdolo servizio di Underwood. Doug ha iniziato la terza stagione in modalità di recupero, soffre ancora di importanti lesioni fisiche dopo che Rachel Posner lo aveva attaccato per legittima difesa al termine della seconda stagione. Costretto a stare lontano dall'ufficio, Doug era precipitato di nuovo nell'alcolismo, ma alla fine si era rimesso in piedi in modo da potersi godere l'altra droga di cui è dipendente: impegnarsi in azioni sporche per Frank. Ha compiuto una delle peggiori verso la fine della scorsa stagione, quando ha finalmente ucciso Rachel - l'ex prostituta che sapeva un po' troppo sulle circostanze riguardanti la manipolazione e l'uccisione di Peter Russo a opera di Frank.

Non dimentichiamoci di Lucas Goodwin.
Ricordate il giornalista ed ex-fidanzato di Zoe Barnes, che Frank ha spinto giù dalla piattaforma della metropolitana, all'inizio della seconda stagione? L'ossessione di Lucas di svelare i crimini di Underwood alla fine lo ha mandato in prigione, per aver commesso atti di cyber-terrorismo. Lucas era fuori dai giochi nella scorsa stagione e presumibilmente ha ancora diversi anni da scontare.

Anche Seth Grayson potrebbe fare innervosire il presidente Underwood.
Prima che Doug negoziasse il suo reinserimento a capo di gabinetto, posizione lasciata libera da Remy Danton, Seth, capo delle comunicazioni, aveva fatto pressioni per quello stesso lavoro. Da persona che si era fatta strada nelle grazie del presidente tradendo la fiducia del suo precedente datore di lavoro, Raymond Tusk, un Seth insoddisfatto sembra potenzialmente pericoloso.


Nota del Traduttore
N.d.T.: "Donne - Waiting to Exhale" è un film del 1995 diretto da Forest Whitaker.

giovedì 3 marzo 2016

I croissant raddrizzati e il declino della civiltà

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: The New Yorker, by Adam Gopnik


La catena di supermercati britannica Tesco ha deciso di sospendere la vendita di croissant a forma di croissant. 
Credit Photograph by Chris Mellor / Getty

I canoni della colazione internazionale sono stati scossi, potrebbe scrivere il Times, dalla notizia della scorsa settimana che Tesco, la catena di supermercati britannica, ha deciso di interrompere la vendita di croissant a forma di croissant. In realtà, la società ha annunciato che non venderà più "croissant curvi", ma, dato che "croissant" significa "mezzaluna", questa formulazione risulta, dal punto di vista linguistico, un po' un controsenso: se non è curvo, non è affatto un croissant. A dire in vero, la parola in inglese è migrata a significare non "pane da colazione friabile a forma di mezzaluna", ma "pane da colazione friabile", un cambiamento che ha generato anche la pratica newyorkese che hanno i fornai di definire un "pain au chocolat" - un cilindro di pane con il cioccolato dentro - un "croissant al cioccolato", sebbene si riferiscano a qualcosa che non è lontanamente a forma di mezzaluna, ma sembra invece esattamente un "pain au chocolat". Lo trovo particolarmente irritante, e tendo a dirlo, anche se mi trovo sulla stessa barca quando il mio italofilo fratello minore annuncia il suo fastidio quando gli viene offerto un "biscotti", quando ciò che gli viene dato è in realtà un singolare "biscotto". (Sì, la nostra è una famiglia particolare, di irritazioni provinciali.)

Il motivo che Tesco fornisce per la sua decisione è di per sé sorprendente: il capo della società, un tale Harry Jones, ha annunciato che è il fattore "spalmabilità" che ha ucciso la particolarità, insistendo sul fatto che "la maggioranza degli acquirenti trova più facile distribuire la marmellata, o il loro ripieno preferito, su una forma dritta con un unico movimento ampio". Ho riletto queste parole più e più volte nella mia mente, come una pastiglia in bocca, e devo ancora trovarvi un qualche senso. Quanto può essere difficile per gli inglesi, anche in questi giorni decadenti post-imperiali, usare un coltello per il pane e, con una semplice torsione del polso, spalmare la marmellata in un "un unico movimento ampio"? Non si può fare a meno di sospettare - senza prove, ma tale è la natura del sospetto - che dietro alla decisione di Tesco ci possa essere l'energia in più necessaria a costruire una macchina che spreme la pasta per croissant curva, invece che dritta.

Perché un croissant ha quella forma, in ogni caso? La prima verità è che non la ha, necessariamente. Come i visitatori veterani di panifici parigini sanno, i superiori croissant al burro sono già comunemente articolati come paste diritte – o, almeno, come dolcemente inclinate - mentre quelli inferiori, di olio o margarina, per legge devono essere ben girati. A volte, questo porta coloro i quali si aspettano chiarezza e logica, piuttosto che complessità e intrappolamento nel controsenso, dalle leggi francesi a pensare che i croissant dritti siano al burro e quelli curvi non lo siano. La verità è che un croissant al burro può essere di qualsiasi forma voglia, in base all'atavico principio aristocratico generale che, pioché il burro è migliore, crea il proprio regno di privilegio.

Si potrebbe solo desiderare che Umberto Eco, che abbiamo purtroppo perso la settimana scorsa, fosse ancora in giro per analizzare questo problema, perché Eco, molto prima di diventare il re della libreria dell'aeroporto, era un imperatore di segni, uno dei più importanti linguisti e semiologi del mondo. La logica alla base della forma a mezzaluna del croissant, si sospetta avrebbe detto, è "saussuriana", dal grande linguista all'inizio del ventesimo secolo Ferdinand de Saussure, che ha intravisto la verità che i segni linguistici sono arbitrari e trovano il loro significato solo essendo chiaramente distinti da altri segni in conflitto. Conosciamo "lunedì" solo perché non suona o appare come "domenica". P.G. Wodehouse, non a caso, ha mostrato la sua comprensione di questa regola quando uno dei Droni, in vacanza in Francia, ha sottolineano che gli era stata data una colazione continentale costituita da "un rotolo a forma di mezzaluna e un rotolo a forma di rotolo". Senza la brioche di accompagnamento standard, non ci sarebbe bisogno della curva; un rotolo a forma di rotolo ne produce uno curvo, come "domenica" crea "lunedì". Il croissant, in questa prospettiva, è curvo in modo da rendere ciò chiaro ciò che non è tanto quanto ciò che è.

Anche le profondità di significato di Murkier sicuramente risiedono qui, dove avrebbe scandagliato l'occhio di Eco. Senza dubbio qualche storico sociale, tra un secolo o giù di lì, scriverà una tesi esaminando come, proprio alla vigilia del minacciato "Brexit" - l'uscita dell'Inghilterra, almeno, dalla comunità europea – il colosso della Gran Bretagna abbia respinto con ostentazione una forma vista così chiaramente come francese, che è normalmente parte di quella che minacciosamente chiamiamo colazione "continentale". L'aggiunta di una forma nazionale arbitraria accanto alla canonica per tentare un croissant interamente inglese, sosterrà il futuro studioso, è un'affermazione di rifiuto di essere parte dell'Europa. (La mezzaluna, inoltre, è il simbolo dell'impero islamico, e i sospettosi vedranno un senso anche in questo).

Dall'altra parte della Manica, la prontezza dei britannici ad abbandonare la forma a mezzaluna risulta deprimente - in particolare perché arriva nello stesso momento in cui un altro adorabile dettaglio curvilineo francese, l'accento circonflesso, è sotto attacco. L'accento circonflesso è il piccolo cappello conico che indossano molte parole francesi per indicare un accento sonoro, ma sarà ora perduto, o almeno opzionale, su parole come coût. Secondo l'ultimo round di diktat dalla Académie Française - o, in realtà, da un diktat di più di vent'anni fa, ma solo ora entrato in vigore - l'accento circonflesso, che è effettivamente un impedimento alla ovvietà di ortografia, può essere riposto nella credenza dei vecchi ricami inutili.

L'era del cornetto raddrizzato incombe su di noi; già questa mattina da Pret a Manger, le paste sembrano sospettosamente più vicine alla linea verticale pura. Non è necessario essere un inguaribile nostalgico per sentire che eliminare la peculiarità del croissant, e decapitare l'accento circonflesso, ha un costo, o coût. Togliere la curva del croissant, come eliminare il circonflesso dalla circolazione, è un modo di rendere inflessibile il mondo, riducendo il deposito di civiltà superfluo che è essenziale per la sua sanità mentale, e per la nostra continuità. Cerchiamo di non raddrizzare la nostra colazione, o semplificare eccessivamente la nostra ortografia con troppo entusiasmo, o troppo presto. Tale livellamento, per quanto efficiente possa sembrare, alla fine semplicemente appiattisce le nostre menti.

giovedì 28 gennaio 2016

La Napoli di Elena Ferrante, allora e adesso.

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: The New York Times, by Ann Mah
http://www.nytimes.com/2016/01/17/travel/elena-ferrante-naples.html?smid=fb-nytimes&smtyp=cur&_r=0


Il Vesuvio si staglia su Napoli. La città è lo sfondo dei quattro romanzi best seller di Elena Ferrante.

Il centro storico di Napoli è intriso del fascino del vecchio mondo - bucato sbiadito steso tra gli edifici, pescherie che rovesciano vasche di vongole e anguille sul marciapiede, pasticcerie nascoste nei pressi di chiese rinascimentali.

Ma io stavo cercando qualcos'altro. Ero arrivata a Napoli senza una guida o anche una mappa, alla ricerca di un quartiere scapigliato di "muri scrostati" e "porte graffiate", dove la "grigia miseria" degli edifici si scontrava con la passione e la repressione dei personaggi della scrittrice Elena Ferrante. Armata solo della sua serie di romanzi napoletani, ero alla ricerca di una città che - attraverso i quattro pesanti volumi, best seller sia negli Stati Uniti che in Italia - era diventata essa stessa un personaggio: pericolosa, sporca e seducente, il luogo che tutti anelano di lasciarsi alle spalle, e il luogo non possono scuotere.

Come ho potuto scoprire durante una visita nel mese di settembre, la serie di libri ha offerto una panoramica unica di questa città complicata, portandomi lontano dai luoghi turistici più famosi e aiutando a spiegare le divisioni sociali, economiche e geografiche della città. Vedere la Napoli della signora Ferrante è vedere Napoli come un nativo.

Spaccanapoli divide Napoli a metà

Elena Ferrante è lo pseudonimo dell'autrice di sette libri, in particolare dei romanzi napoletani – ritratti grintosi e inflessibili di un'amicizia femminile ambientata in un contesto di sconvolgimenti politici e sociali in Italia dagli anni 50 ad oggi. Fin dalla pubblicazione nel 2012 del primo libro della serie, "L'amica geniale", la signora Ferrante è diventata uno dei più grandi enigmi della letteratura moderna – avversa ai media e fermamente anonima. Anche il sesso dell'autrice è stato motivo di speculazione; la biografia ufficiale della casa editrice, tuttavia, si riferisce a lei come una donna, e offre un unico dettaglio personale: "Elena Ferrante è nata a Napoli".

Il quartetto di romanzi - che comprende anche "Storia di un nuovo cognome", "Storia di chi fugge e di chi resta" e "Storia della bambina perduta" - ripercorre la vita di Elena Greco e Raffaella Cerullo, due ragazze di un triste rione di Napoli, un quartiere caratterizzato da povertà, vendette mafiose, e violenza. Nate a qualche settimana di distanza, nell'agosto del 1944, le ragazze - che si chiamano l'un l'altra Lenù e Lila - sono migliori amiche e feroci rivali, che si spronano a vicenda per ottenere il più brillante rendimento scolastico.

Lenù, prudente e coscienziosa, alla fine fugge dal quartiere per mezzo dello studio diligente (e scambia il suo soprannome d'infanzia per il suo nome di battesimo, Elena). Lila, impulsiva e audace, divampa attraverso la vita, gli occhi socchiusi come spiragli, una "ragazza terribile, abbagliante", che spinge Lenù ad atti audaci - come nel giorno in cui la coppia salta la scuola e, per la prima volta nella loro giovane vita, cercano di "attraversare i confini del quartiere" alla scoperta di una presenza invisibile, "una vaga memoria blu": il mare.

Mentre passeggiavo a ovest, lungo una stradina del centro storico, gli occhi accecati dal sole del tardo pomeriggio, con una serie di edifici ravvicinati a orlare la vista del cielo e gli odori della cucina, il mare si sentiva davvero lontano. La mia amica, Paola, mi ha detto: "Questa la chiamiamo Spaccanapoli. Significa Napoli divisa a metà".

Come molte antiche città romane, mi ha spiegato, Napoli era stata pianificata lungo decumani paralleli, strade con un orientamento est-ovest. Questa particolare strada attraversa il cuore della città. "Più a est si va", ha detto Paola, una napoletana nativa, "più poveri sono i quartieri".

Ho camminato per un isolato o due, e il Golfo di Napoli mi è balenato davanti, tutto turchese scintillante. Era plausibile che a 10 anni Lenù e Lila avessero passato tutta la loro vita senza intravedere la caratteristica distintiva di questa città portuale? La risposta, lo sapevo, si trovava oltre il quartiere turistico, per le strade squallide del loro rione.

Con l'aiuto di Irene Caselli, una giornalista originaria di Napoli, ora con sede a Buenos Aires, mi ero avvicinata a identificare il loro quartiere: era quasi certamente il Rione Luzzatti. Però, mi ha messo in guardia: "Ha una reputazione pericolosa, degradante. Non ci andare dopo il tramonto. Non camminare da sola".

Il Rione Luzzatti confina a est con la stazione centrale e a nord con la prigione, Poggioreale. "Non è così lontano", ha detto Paola - in effetti, è a meno di 5 chilometri dal centro storico - "ma si tratta di una distanza mentale". Considerata la reputazione della zona per il crimine, ho assunto una guida locale, Francesca Siniscalchi, che, come praticamente tutte le donne che ho incontrato a Napoli, è una fan accanito della Ferrante.

Napoli ha molti quartieri, compresi i quartieri Spagnoli.

Vagando attraverso la città in taxi, la signora Siniscalchi mi ha mostrato i luoghi a cui si fa riferimento nei libri: il "Rettifilo", una via commerciale dove Lila acquista il suo abito da sposa; l'irregolare Piazza Municipio, dove il padre di Elena lavora come usciere comunale; il mastodontico, grigio Liceo Classico Garibaldi, il liceo di Elena.

"La sua interpretazione di Napoli non è solo una cartolina - è un mosaico di emozioni forti e dirompenti", ha detto la signora Siniscalchi dei libri. "Lei dà un'eccellente descrizione di tutte le opportunità perse da ogni singola generazione nel sud Italia. Quando ho finito l'ultimo libro, ho pianto".

Nel Rione Luzzatti, abbiamo trovato un ammasso di edifici squallidi, striati di sporco, le finestre strette coperte dal bucato come fossero tende, macchie di erba incolta, vuoti marciapiedi cosparsi di rifiuti, nonostante il sole di fine estate. Voci si scontravano in profondità all'interno di uno degli appartamenti di un palazzo, suggerimento che le persone erano in casa e, forse, ci guardavano. Il bar-pasticceria e il calzolaio dei libri mancavano; un venditore di frutta-e-verdura mostrava la merce da un camion piuttosto che da un carretto trainato da un cavallo. Ma nonostante queste piccole differenze, non avevo bisogno di alcuno sforzo di immaginazione per vedere il quartiere di Elena e Lila. Qui, in questo "cumulo offuscato e distante" di "indistinguibili detriti urbani", il mare mi sembrava davvero una fantasia.

Dopo il rione, l'eleganza patinata di Chiaia, il quartiere benestante dello shopping in città, mi ha colpito come un colpo di bastone. Da adolescenti, la prima incursione di Elena e Lila qui le lascia stupefatte dalle donne chic che sembrano "aver respirato un'altra aria", scrive la signora Ferrante, "aver imparato a camminare su aliti di vento". Anche se la passeggiata finisce in violenza, quando un branco di ragazzi ricchi chiama il loro gruppo "bifolchi" e segue uno scontro sanguinoso, queste strade giocano un ruolo durante la serie - il lussuoso yin del desolato yang del rione.

Il quartiere benestante dello shopping di Chiaia.

Dopo aver girovagato lungo Via Chiaia in mezzo a una folla di gente del posto alla moda, mi sono fermata in Piazza dei Martiri a cercare Solara, il negozio di scarpe che Lila decora con una gigantesca copia sfigurata di una sua foto in abito da sposa, creando un'immagine artistica del suo corpo "crudelmente affettato". Invece ho trovato una boutique di Salvatore Ferragamo e, in tutta la piazza maestosa, la libreria Feltrinelli, che esponeva pile di libri della signora Ferrante.

Mentre Elena e Lila avanzano dalla giovinezza alla mezza età, si trovano ad affrontare un periodo di tumultuosa rivoluzione sociale - femminismo radicale, manifestazioni del 1968, amici che si dilettano nel comunismo militante - e la loro speranza giovanile alla fine si trasforma in disillusione. "Mi sono sentita allo stesso modo - colpevole, autocritica", mi ha detto Anna Maria Palermo, docente presso l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale". Eravamo nel suo arioso appartamento, circondato da mura di libri, pavimenti in mattonelle di terracotta, e grandi finestre che incorniciano la vista sul Golfo di Napoli. "Nel 1968, avevamo così tanta sensazione di potere. Ero sicura che avremmo potuto cambiare tutto".

La signora Palermo è nata nel 1943, un anno prima delle protagoniste della signora Ferrante, da una famiglia borghese di Napoli. Eppure, si è identificata con i libri. "C'è una napoletanità che taglia attraverso i livelli sociali. Lei comunica molto bene questa cosa. Questi romanzi vanno in profondità nelle nostre anime", ha detto. "Sono molto legata a questa città, ma è come la sirena di Capri - qualcosa ti incanta, ma qualcosa ti disgusta dentro", ha detto, riferendosi alle sirene dell' "Osissea", che ammaliavano i marinai portandoli alla morte con le loro dolci canzoni.

Nei libri, la battaglia di Elena e Lila contro la Camorra, l'inevitabile Mafia locale, è la loro missione di vita, il loro più grande impegno, rappresentata come una lotta insostenibile e senza speranza. "La Camorra è parte della nostra storia", ha detto la signora Siniscalchi, la mia guida. "Risale al 17° secolo. Al giorno d'oggi, è stata addirittura collegata al governo. Crescere a Napoli è una battaglia quotidiana".

Dalla terrazza baciata dal sole della signora Palermo, tuttavia, la presenza persistente e violenta della Mafia nella città sembrava una fantasia oscura e distante. A Posillipo, un ricco quartiere residenziale che si affaccia sul golfo, il mare è inevitabile, abbagliante da ogni angolazione.

Ho pensato a una scena nel terzo libro della serie, "Storia di chi fugge e di chi resta", quando Elena passeggia da sola per Napoli all'alba, riflettendo sul paesaggio della città e la sua influenza su tutta la sua identità. "Chissà quale sensazione avrei avuto su Napoli, su di me, se mi fossi svegliata ogni mattina non nel mio quartiere, ma in uno di quei palazzi lungo la riva", riflette.

Davanti a me, il golfo scintillava, una distesa ondeggiante di blu ricoperto dalla massa incombente del Vesuvio. Da qui, il rione era completamente scomparso.

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Ann Mah, che contribuisce frequente alla sezione Viaggi, è l'autrice di "Mastering the Art of French Eating".

Una versione di questo articolo appare in stampa il 17 gennaio 2016, a pagina TR1 dell'edizione di New York con il titolo: Elena Ferrante’s Naples, Then and Now

lunedì 11 gennaio 2016

In che modo la lingua che parli cambia la tua visione del mondo

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: The Conversation, by Panos Athanasopoulos
http://theconversation.com/how-the-language-you-speak-changes-your-view-of-the-world-40721


Chi parla tedesco pensa di più ai propri obiettivi


Le persone bilingue hanno tutti i vantaggi. Prospettive di lavoro migliori, una spinta cognitiva e persino protezione contro la demenza. Ora una nuova ricerca mostra che possono anche vedere il mondo in modo diverso a seconda della specifica lingua in cui operano.

Gli ultimi 15 anni hanno visto una straordinaria quantità di ricerche sulla mente bilingue, con la maggioranza delle prove che indicano i vantaggi tangibili di utilizzare più di una lingua. Andando avanti e indietro tra le lingue sembra essere una sorta di esercizio per la mente, che spinge il cervello a essere flessibile.

Proprio come l'esercizio regolare dà al vostro corpo alcuni benefici biologici, controllare mentalmente due o più lingue dà al vostro cervello benefici cognitivi. Questa flessibilità mentale paga grandi dividendi soprattutto andando avanti con gli anni: i segni tipici dell'invecchiamento cognitivo si verificano più tardi nelle persone bilingue - e l'insorgenza di malattie degenerative correlate all'età, come la demenza o l'Alzheimer, tardano nelle persone bilingue anche di cinque anni.

I tedeschi sanno dove stanno andando

Nella ricerca che abbiamo recentemente pubblicato su Psychological Science, abbiamo studiato persone bilingue e monolingue tedesco-inglese, per scoprire come diversi modelli di linguaggio facciano variare il modo in cui reagiscono agli esperimenti.
Sta camminando? O cammina verso l'auto?

Abbiamo mostrato a parlanti bilingue tedesco-inglese video clip di eventi contenenti un movimento, come una donna che cammina verso una macchina o un uomo in bicicletta diretto al supermercato, e poi abbiamo chiesto loro di descrivere le scene.

Quando si danno scene come queste a tedeschi monolingue, tenderanno a descrivere l'azione, ma anche l'obiettivo dell'azione. Così tenderebbero a dire "Una donna cammina verso la sua auto" o "un uomo pedala verso il supermercato". I parlanti monolingue inglese descriverebbero semplicemente quelle scene come "Una donna sta camminando" o "un uomo sta andando in bicicletta", senza menzionare l'obiettivo dell'azione.

La visione del mondo assunta dai parlanti tedeschi è di tipo olistico - tendono a guardare l'evento nel suo complesso - mentre gli anglofoni tendono a focalizzarsi sull'evento e concentrarsi solo sull'azione.

La base linguistica di questa tendenza sembra essere radicata nel modo in cui i diversi strumenti grammaticali situano le azioni nel tempo. La lingua inglese richiede ai suoi parlanti di marcare grammaticalmente gli eventi che sono in corso, applicando obbligatoriamente il morfema -ing: “I am playing the piano and I cannot come to the phone” [N.d.T.1] o “I was playing the piano when the phone rang” [N.d.T.2]. Il tedesco non ha questa caratteristica.

La ricerca con gli utenti di seconda lingua mostra una relazione tra competenze linguistiche in tali costruzioni grammaticali e la frequenza con cui i parlanti menzionano gli obiettivi degli eventi.

Nel nostro studio abbiamo anche scoperto che queste differenze nelle comparazioni linguistiche vanno oltre l'uso del linguaggio stesso, alla categorizzazione non verbale degli eventi. Abbiamo chiesto a parlanti monolingue inglesi e tedeschi di guardare una serie di video clip che mostravano persone camminare, in bicicletta, correre, o guidare. In ogni serie di tre video, abbiamo chiesto ai soggetti di decidere se una scena con un obiettivo ambiguo (una donna cammina lungo una strada verso una macchina parcheggiata) fosse più simile a una scena chiaramente orientata agli obiettivi (una donna cammina ed entra in un edificio) o una scena priva di obiettivi (una donna cammina lungo una strada di campagna).

I parlanti monolingue tedeschi hanno abbinato le scene ambigue con le scene con un obiettivo mirato più frequentemente dei parlanti monolingue inglesi. Questa differenza rispecchia quella trovata nell'utilizzo della lingua: i parlanti tedeschi sono più propensi a concentrarsi sui possibili esiti delle azioni delle persone, ma gli anglofoni prestano maggiore attenzione all'azione stessa.

Scambio di lingue, cambia la prospettiva

Quando si trattava di parlanti bilingue, sembravano passare da una prospettiva all'altra in base al contesto linguistico dato. Abbiamo scoperto che i tedeschi fluenti in inglese erano altrettanto focalizzati sull'obiettivo come qualsiasi altro madrelingua durante il test in tedesco nel loro paese d'origine. Ma un gruppo simile di parlanti bilingue tedesco-inglese testati in inglese nel Regno Unito erano focalizzati sull'azione tanto quanto i madrelingua inglesi.

In un altro gruppo di bilingue tedesco-inglese, abbiamo tenuto una lingua in prima linea nella loro mente durante il compito di combinazione dei video, facendo ripetere ai partecipanti sequenze di numeri ad alta voce in inglese o in tedesco. Distrarre una lingua sembrava portare automaticamente l'influenza dell'altra in primo piano.

Quando abbiamo "bloccato"
l'inglese, i bilingue si comportavano come tipici tedeschi e vedevano i video ambigui come più orientatati agli obiettivi. Con il tedesco bloccato, i soggetti bilingue si sono comportati come anglofoni e hanno abbinato scene ambigue e aperte. Quando abbiamo sorpreso i soggetti cambiando la lingua dei numeri di distrazione a metà dell'esperimento, il focus dei soggetti su obiettivi o azioni è cambiato con essa.

Questi risultati sono in linea con altre ricerche che mostrano un comportamento diverso nei parlanti bilingue in base alla lingua di funzionamento. Gli arabi israeliani sono più propensi ad associare nomi arabi come Ahmed e Samir con parole positive in un contesto in lingua araba che in uno in lingua ebraica, per esempio.

Alcuni confermano di sentirsi come persone diverse all'utilizzo di una lingua o l'altra, e che esprimere certe emozioni porta una diversa risonanza emotiva a seconda della lingua che stanno utilizzando.


Anche nel giudicare il rischio, i bilingue tendono a prendere decisioni economiche piùrazionali in una seconda lingua. In contrasto con la propria prima lingua, tendono a mancare i profondi e fuorvianti pregiudizi affettivi che influenzano indebitamente il modo in cui sono percepiti rischi e benefici. Così la lingua che si parla può davvero influenzare il modo di pensare.



Note del Traduttore
N.d.T.1: "Sto suonando il pianoforte e non posso venire al telefono"
N.d.T.2: "Stavo suonando il pianoforte quando squillò il telefono"