domenica 8 novembre 2015

7 discorsi per la vittoria del Nobel di 7 grandi scrittori: Hemingway, Faulkner, e altri

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: Open culture, by Mike Springer

William Faulkner, 1949:


Quasi ogni anno dal 1901, l'Accademia svedese ha ripartito un quinto degli interessi della fortuna lasciata in eredità dall'inventore della dinamite Alfred Nobel per onorare, come scrisse Nobel nel suo testamento, "la persona che ha prodotto nel campo della letteratura il più eccezionale lavoro in una direzione ideale". 
Molti dei più grandi scrittori degli ultimi 112 anni hanno ricevuto il Premio Nobel per la letteratura, ma ci sono state fin dall'inizio alcune omissioni evidenti. Quando Lev Tolstoj fu scartato nel 1901 (il premio è andato al poeta francese Sully Prudhomme) era così offeso che rifiutò nomine successive. L'elenco dei grandi scrittori che erano in vita dopo il 1901, ma non hanno mai ricevuto il premio è sbalorditivo. Oltre a Tolstoj, include James Joyce, Virginia Woolf, Mark Twain, Joseph Conrad, Anton Chekhov, Marcel Proust, Henry James, Henrik Ibsen, Émile Zola, Robert Frost, W.H. Auden, F. Scott Fitzgerald, Jorge Luis Borges e Vladimir Nabokov.

Ma il comitato del Nobel ha premiato molti scrittori meritevoli, e oggi abbiamo raccolto sette discorsi di sette vincitori. La nostra scelta è stata limitata da ciò che è disponibile on-line in lingua inglese. Ci siamo concentrati sui brevi discorsi tradizionalmente tenuti il 10 dicembre di ogni anno al banchetto per i Nobel a Stoccolma. Con l'eccezione di brevi estratti del discorso di Bertrand Russell, abbiamo scartato i più lunghi (che in genere durano circa 40 minuti), presentati all'Accademia svedese in un giorno diverso da quello del banchetto.

Iniziamo qui sopra con uno dei discorsi dei Nobel più spesso citati: l'accettazione eloquente del premio di William Faulkner nel 1949. In realtà non fu dato nessun premio per la letteratura nel 1949, ma la commissione decise di conferire la medaglia di quell'anno 12 mesi più tardi a Faulkner, citando il suo "contributo potente e artisticamente unico al moderno romanzo americano". Faulkner diede il suo discorso il 10 dicembre 1950 , nella stessa cerimonia con Bertrand Russell. Purtroppo l'audio si interrompe poco prima della fine. Per seguire e leggere il finale mancante, clicca qui per aprire il testo integrale in una nuova finestra. Faulkner incespica un paio di volte nel corso del suo discorso. È possibile ascoltare una lettura più calma del 1954 di una versione rivista del discorso qui.

Bertrand Russell, 1950:


Il logico e filosofo britannico Bertrand Russell è stato uno dei diversi vincitori del premio per la letteratura che erano noti soprattutto per il loro lavoro in altri campi. (La breve lista include lo statista Winston Churchill e il filosofo Henri Bergson). Oltre al suo contributo pionieristico in matematica e filosofia analitica, Russell ha scritto molti libri per il lettore comune. Nel 1950 il comitato del Nobel ha citato i suoi "scritti vari e significativi nei quali sostiene ideali umanitari e libertà di pensiero". Qui sopra vi sono due brevi clip audio dal discorso per il Nobel di Russell dell'11 dicembre 1950, "Quali desideri sono politicamente importanti?". È possibile aprire il testo integrale in una nuova finestra cliccando qui.

Ernest Hemingway, 1954:


Allo scrittore americano Ernest Hemingway è stato assegnato il premio nel 1954 "per la sua maestria nell'arte della narrazione, più recentemente dimostrata in Il vecchio e il mare, e per l'influenza che ha esercitato sullo stile contemporaneo". Hemingway non si sentiva abbastanza bene nel dicembre del 1954 per viaggiare a Stoccolma, così chiese a John C. Cabot, Ambasciatore degli Stati Uniti in Svezia, di tenere il discorso per lui. Per fortuna abbiamo questa registrazione di quel mese, nella quale Hemingway legge il suo discorso per una stazione radio a L'Avana, Cuba. È possibile cliccare qui per aprire il testo integrale in una nuova finestra.

John Steinbeck, 1962:


Lo scrittore americano John Steinbeck, autore di Furore e Uomini e topi, è stato insignito del Nobel nel 1962 "per i suoi scritti realistici e immaginativi, che uniscono umorismo empatico e un'acuta percezione sociale". Per leggere mentre si guarda Steinbeck dare il suo discorso, cliccare qui per aprire il testo in una nuova finestra.

V.S. Naipaul, 2001:


 
Saltando dal 1962 fino al 2001, abbiamo il video dello scrittore trinidadiano naturalizzato britannico, V.S. Naipaul, autore di libri come In uno Stato libero e Alla curva del fiume. Naipaul è stato nominato dal comitato del Nobel "per aver unito narrativa percettiva e controllo incorruttibile in opere che ci costringono a vedere la presenza di storie soppresse". Potete cliccare qui per aprire il testo del discorso di Naipaul al banchetto in una nuova finestra.

Orhan Pamuk, 2006:


Lo scrittore turco Orhan Pamuk, autore di libri come Il museo dell'innocenza e Neve, ha ricevuto il premio nel 2006. Il comitato del Nobel ha elogiato lo scrittore di Istanbul, "che nella ricerca dell'anima malinconica della sua città natale, ha scoperto nuovi simboli per lo scontro e l'intreccio delle culture". Per leggere il discorso di Pamuk al banchetto, cliccare qui per aprire il testo in una nuova finestra.

Mario Vargas Llosa, 2010:


Il prolifico scrittore peruviano-spagnolo Mario Vargas Llosa, autore di romanzi come Conversazione nella "catedral" e Il caporale Lituma sulle Ande, è stato citato dal comitato del Nobel nel 2010 "per la sua cartografia delle strutture del potere e le sue immagini taglienti della resistenza, della rivolta, e della sconfitta dell'individuo". Per leggere insieme a Vargas Llosa mentre parla, cliccare qui per aprire il testo in una nuova finestra.

martedì 3 novembre 2015

La lista delle tre qualità essenziali per tutti gli scrittori (e i corridori) seri di Haruki Murakami

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: Open culture, by Josh Jones
http://www.openculture.com/2014/09/haruki-murakami-describes-the-essential-qualities-for-novelists.html



Vi abbiamo parlato moltissimo di Haruki Murakami ultimamente, e per una buona ragione. Non solo il popolarissimo romanziere giapponese ha pubblicato un nuovo romanzo, ma è anche in arrivo una novella, La Strana Biblioteca [N.d.T.1], una storia di 96 pagine riguardante uno "strano giro in biblioteca", edito da Knopf, in uscita il 2 dicembre. Mirabilmente prolifico, scrivendo pressappoco 3-4 romanzi per decennio dal primo nel 1979, e alcune raccolte di racconti e saggi, il notoriamente timido Murakami ha iniziato a scrivere un po' tardi nella vita, all'età di 30 anni, e a correre anche più tardi, a 33. Quest'ultima attività gli ha dato una grande quantità di materiale per il suo saggio L'arte di correre.

Come altri autori che scrivono pezzi di saggistica sui propri passatempi - Jamaica Kincaid sul giardinaggio, Hemingway sulla caccia - nel suo libro sulla corsa, Murakami non può fare a meno di trasformare la sua passione per il fitness in una metafora per la lettura e la scrittura. Data la sua naturale reticenza, inizia, con una precisazione: "un gentiluomo non dovrebbe andare ripetendo quello che fa per rimanere in forma."

Tuttavia, l'ultra-maratoneta non può fare a meno di indulgere. A un certo punto, lo scrivere sul correre si trasforma nello scrivere sulla scrittura, e in una sintesi delle qualità che deve avere un valido scrittore. Leggiamo i suoi pensieri condensati a seguire.

Talento:
Come Flannery O'Connor, di cui abbiamo citato i pensieri sul grado MFA [N.d.T.2] un paio di giorni fa, Murakami incornicia il talento come un attributo che non può essere insegnato o acquisito. Per lo scrittore, il talento è "più un prerequisito che una qualità necessaria [...] Non importa quanto entusiasmo e impegno tu metta nella scrittura, se manchi completamente di talento letterario puoi dimenticare di diventare un romanziere". Si potrebbe dire che tutto ciò sia scontato, ma per qualche motivo, sembra che le persone intrattengano l'idea di diventare uno scrittore più a lungo rispetto a quella di diventare, per esempio, un musicista o un pittore. Forse è per questo che Murakami poi fa un'analogia alla musica come una ricerca in cui, idealmente, l'attitudine naturale è indispensabile. Ma nel menzionare due dei suoi compositori preferiti, Schubert e Mozart, Murakami puntualizza che questi sono esempi di artisti "il cui genio è uscito in un tripudio di gloria". E si affretta a precisare che "per la stragrande maggioranza di noi questo non è il modello che seguiamo". Il romanziere come corridore, potremmo dire, dovrebbe allenarsi per una carriera correndo maratone.

Concentrazione: 
Murakami come corridore, medita un articolo dell'Economist, è "se non un pazzo [...] un uomo molto concentrato". Lo si dovrebbe essere per finire 27 maratone, tra le quali una mostruosa 62 miglia in Hokkaido, e diversi triathlon. Le qualità che lo servono nella sua disciplina fisica sono anche quelle che egli identifica come necessarie al romanziere. Murakami definisce la concentrazione come "la capacità di canalizzare tutti i propri limitati talenti su ciò che è importante in un dato momento. Senza questo non si può realizzare nulla di valore. Lui "generalmente si concentra sul lavoro per tre o quattro ore ogni mattina. Mi siedo alla mia scrivania e mi concentro totalmente su quello che sto scrivendo. Non vedo altro, non penso ad altro". Le memorie sulla corsa di Murakami possono contenere "lunghe descrizioni di programmi di allenamento e della dieta", ma quando si tratta di scrivere, sembra che ci sia un solo modo schiacciante per occuparsi della cosa. Sedersi e farlo.

Resistenza:
Ti consideri più uno scattista? Forse è meglio attenersi ai racconti brevi. "Se vi concentrate sulla scrittura per tre o quattro ore al giorno e vi sentite stanchi dopo una settimana" riprende Murakami, "non sarete in grado di scrivere un lavoro lungo. Ciò che è necessario allo scrittore di narrativa – o almeno a uno che spera di scrivere un romanzo - è l'energia di concentrarsi ogni giorno per sei mesi, o un anno, o due anni. Fortunatamente, queste due discipline – concentrazione e resistenza - sono diverse dal talento, in quanto possono essere acquisite e migliorate attraverso l'allenamento".
"L'atto di acquisizione" scrive Murakami, "è un po' come l'allenamento dei muscoli di cui ho scritto un momento fa. Coinvolge lo stesso processo del correre ogni giorno per rafforzare i muscoli e sviluppare il fisico di un corridore".

Chiaramente c'è poco spazio per stare con la testa tra le nuvole in attesa dell'ispirazione. Per estendere l'analogia, questo potrebbe essere paragonato al raro desiderio a cui si arriva nel provare una nuova, stimolante routine, un impulso che svanisce abbastanza rapidamente una volta che le cose si fanno dolorose e monotone. Ma per la scrittura, suggerisce Murakami, a volte è sufficiente solo essere presenti. Egli si riferisce alla disciplina di Raymond Chandler, il quale "ha fatto in modo di sedersi alla scrivania ogni singolo giorno e concentrsi", anche se non scriveva una parola. Si tratta di un'immagine adatta per quello che Murakami descrive come il bisogno dello scrittore di "trasmettere l'oggetto della vostra attenzione a tutto il corpo". Mi chiedo se si vada troppo oltre nell'affermare che questa frase tradisce il vero soggetto del libro sulla scrittura di Murakami.


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Josh Jones è uno scrittore e musicista con base a Durham, NC. Seguitelo su @jdmagness


Note del Traduttore
N.d.T.1: Edito in italiano da Einaudi, in uscita il 17 novembre 2015
N.d.T.2: Master of Fine Arts, richiede in genere 2-3 anni di studio post-laurea breve (bachelor's degree, BFA)

sabato 10 ottobre 2015

Imparare a morire

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: The New York Times, by Margot Mifflin


Mia madre mi ha insegnato molte cose, tra le quali, alla fine, come morire.

La sua morte è andata bene, ho detto ai pochi amici che sapevo avrebbero capito cosa intendessi dire: non ha sentito dolore, era lucida fino al giorno prima di morire, era a casa, io e mia sorella eravamo con lei. È stata un'esperienza forte, rivelatrice e significativa - qualcosa che non avrei scambiato per alcuna cosa - tranne la sua vita.

Nessuno ti dice quanto discretamente la morte può fare la sua cattura, o quanto languidamente. Si srotola come un'onda bassa: si sta muovendo, e non; lei è lì, a galla, e non lo è; si chiude simultaneamente attraverso lei e la trascina nella sua marea per ore, fino a quando lei è silenziosamente dissipata dalla sua forza.


Ho capito, ora, perché la morte è stata così spesso personificata nell'arte - è esasperantemente anonima. La Morte di Sylvia Plath è due persone: quella che non alza mai gli occhi, e quella che sorride e fuma. Ma i suoi pretendenti sono troppo sexy e minacciosi per rappresentare la morte distante, impassibile e terrena alla quale ho assistito. La Morte di Jacques Brel è una zitella, una principessa e una strega - tutto impossibile: l'esperienza della morte non potrebbe mai essere così enormemente solitario con questa folla di catalizzatori in disparte.

Mia madre allucinava leggermente nella settimana prima di morire, e le sue visioni di morfina mi hanno assicurato che la sua morte - o almeno quello che ne è seguito - sarebbe stata OK. "Vorrei essere un albero", ha detto un giorno, il che sembrava ragionevole in luce sia al suo amore per le foreste che per la natura della sua malattia, il mieloma multiplo, che stava tagliuzzando via le sue ossa. Voleva essere di nuovo solida. Voleva alzarsi e sentire le radici. Pochi giorni dopo disse allegramente, "mio padre mi aspetta". Era pronta ad andare.

La notte della sua morte, cinque o 10 minuti dopo aver smesso di respirare, l'ho tenuta tra le braccia e lei era ancora lì. Un'ora dopo, non lo era. Ma non era stata presa. Sono certa che se ne era andata, e vederla andare mi ha dato il coraggio di pensare che avrei potuto farlo anch'io, senza paura.

Mi sono allenata in un sogno. Stavo correndo lungo i tetti di Lower Manhattan quando sono finita in uno strapiombo di 20 o 30 piani, e ho iniziato a cadere. Sapevo che sarei morta, così mi sono data una rapida ammonizione. Primo: rilassati. È una lunga discesa, e potresti vivere un'esperienza assurda prima che finisca, se non ti irrigidisci e la perdi. Secondo: resta orizzontale in modo da ottenere un colpo pulito e non fare un gran pasticcio. Terzo: sul terreno, prima di morire, spiega che è stato un incidente, non un suicidio. Le persone che ti vogliono bene meritano di sapere.

Ho colpito terra e mi sono ritrovata a correre di nuovo - rimescolandomi in giro cercando di tornare a un edificio in cui avevo lasciato un libro appena acquistato che volevo disperatamente recuperare. Ero morta e andata in - una libreria. La vita continuava.

Un mese dopo la sua morte, mia madre stava ancora morendo. Quando sono andata nel suo appartamento per ordinare la posta e imballare le sue cose, lei era lì - un po' meno ogni settimana, ma c'era. Entrò e si lasciò cadere su tutta la lunghezza del divano con una mano tesa sul pavimento, un kleenex nella manica, guardando il vasto impero di riviste sul tavolino da caffè. Mi è apparsa in sogno, permettendomi di abbracciarla per un tempo assurdamente lungo, anche se entrambe sapevamo che era morta. Questo è il modo in cui mi aggrappai a lei per qualche anno - quando andava bene. Una notte, in sogno, per esempio, parlai con lei a lungo per telefono, ma quando le chiesi dove si trovava, lei suonò irritata e riagganciò, e il sogno si dissolse. Così ho imparato a non chiedere.

E ora, sono passati quattro anni. Si è allargato un divario tra quello che è successo prima della sua morte e quello che è successo da allora, e lei è scivolata in esso. Sono andati via tutti ora: la madre fantasma, sdraiata sul divano; la persona scomparsa, che dissimula al telefono; e la presenza assente persistente nel bosco dove le sue ceneri disperse si sono stabilite nel sottobosco, sepolte sotto stagioni di neve e fiori di campo. Eppure mi sento come se avessi appena incontrato questa nuova madre che ha fatto l'impensabile - il rinnegato che ha viaggiato in profondità nella natura selvaggia di una malattia terminale, trasformata magicamente davanti ai miei occhi, e andata via. È stato un tradimento ingenuo, innocente, basato su un equivoco: io avevo semplicemente pensato che sarebbe vissuta per sempre.

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Margot Mifflin, professoressa di Inglese presso la City University of New York, è autrice di "Corpi sovversivi. Donne e tatuaggio, una storia segreta."

mercoledì 7 ottobre 2015

5 perle di saggezza da "M train" di Patti Smith - La personale selezione di SPIN di passaggi tratti dall'ultimo lavoro dell'eminente poetessa punk

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: Spin, by Rachel Brodsky



Patti Smith è sempre stata una sorta di enigma culturale. Trascorrendo la prima parte della sua carriera fondendo poesia, blues e punk rock, ad oggi la musicista, scrittrice e artista visiva ha pubblicato 11 album (attualmente sta celebrando il 40° anniversario del suo debutto, Horses) e, nel 2010, ha vinto legioni di ammiratori letterari con la sua prima autobiografia, Just Kids. Questa settimana, catturerà indubbiamente un'altra ondata di lettori con l'eccezionale seguito, M Train [N.d.T.].

Il primo volume, in prima persona, di Smith ha ritratto i suoi primi anni a New York City e il rapporto con l'artista e compagno di stanza Robert Mapplethorpe, ma M Train, sebbene giri ancora per i cinque distretti, è in gran parte ambientato nel presente. Si ferma abitualmente alla sua caffetteria preferita del quartiere, fa maratone di serie criminali straniere, e fugge a Rockaway Beach, dove acquista un piccolo bungalow, contempla il senso del portale di Haruki Murakami in L'uccello che girava le viti del mondo, e lotta con il processo di scrittura, tra le altre attività solitarie.

Ma Smith non è il tipo che pianta i piedi in terra a lungo - il libro ci riporta spesso indietro a momenti perduti nel tempo, che coprono il suo rapporto con il defunto marito, Fred "Sonic" Smith; la morte del fratello, Todd Pollard Smith; i suoi viaggi in paesi lontani; e le visite alle tombe di scrittori famosi.

Passa anche molto tempo di M Train nel creare interi personaggi immaginari per i personaggi di CSI, i suoi due gatti e anche ladri di tavolo della caffetteria. Ogni pausa dalla realtà finisce per trasformarsi in una sorta di lezione di vita, come solo Smith può articolare. Abbiamo riunito alcune delle nostre preferite qui di seguito.

1. Le persone che abbiamo amato e perduto continuano a vivere in noi.

Alla fine ho lasciato il Michigan e sono tornata a New York con i bambini [miei e di Fred]. Un pomeriggio, mentre attraversavo la strada, mi sono accorta che stavo piangendo. Ma non riuscivo a identificare la fonte delle mie lacrime. Ho sentito un calore contenente i colori dell'autunno. La pietra scura nel mio cuore pulsava in silenzio, accendendosi come il carbone in un focolare. Chi c'è nel mio cuore? Mi chiedevo.

Presto ho riconosciuto lo spirito umoristico [di Todd Smith], e mentre continuavo la mia passeggiata ho lentamente recuperato un aspetto di lui che era anche mio - un naturale ottimismo. E lentamente le foglie della mia vita hanno girato e ho visto me stessa indicare cose semplici a [il suo defunto marito] Fred, cieli blu, nubi bianche, sperando di penetrare il velo di un congenito dolore.

2. Vivi la vita al tuo ritmo.

Fred aveva finalmente ottenuto il brevetto da pilota, ma non poteva permettersi di pilotare un aereo. Io ho scritto incessantemente, ma non ho pubblicato nulla. Attraverso tutto questo ci siamo tenuti stretti al concetto di orologio senza lancette. Compiti sono stati completati, pompe di pozzetto presidiate, sacchi di sabbia accatastati, alberi piantati, camicie stirate, orli cuciti, eppure ci siamo riservati il diritto di ignorare le lancette che continuavano a girare. Guardando indietro, molto tempo dopo la sua morte, il nostro modo di vivere sembra un miracolo, che potrebbe essere raggiunto solo dalla silenziosa sincronizzazione di gioielli e ingranaggi di una mano comune.

3. Il cambiamento è inevitabile, sebbene cerchiamo sempre di resistervi. 

Vogliamo cose che non possiamo avere. Cerchiamo di recuperare un certo momento, suono, sensazione. Voglio sentire la voce di mia madre. Voglio vedere i miei figli da bambini. Mani piccole, piedi veloci. Tutto cambia. Ragazzo cresciuto, padre morto, figlia più alta di me, piangendo per un brutto sogno. Per favore restate per sempre, dico alle cose che so. Non andate. Non crescete.

4. La tua mente è la chiave per battere la malinconia a lungo termine. 

Tutte le porte sono aperte per colui che crede. È la lezione della Samaritana al pozzo. Nel mio stato di sonnolenza mi venne in mente che, se il pozzo [dell'uccello gira viti di Murakami] era un portale verso fuori, ci deve essere anche un portale verso l'interno. Ci devono essere mille e uno modi per trovarlo. Dovrei essere felice con questo. Potrebbe essere possibile passare attraverso lo specchio orfico come il poeta ubriaco Cégeste in Orphée di Cocteau. Ma io non volevo passare attraverso specchi, né pareti del tunnel quantistico, o portare la mia strada nella mente dello scrittore.
 
Alla fine è stato [Haruki] Murakami stesso che mi ha fornito una soluzione discreta. Il narratore [in L'uccello che girava le viti del mondo] è riuscito a muoversi attraverso il pozzo nel corridoio di un hotel indefinibile visualizzando se stesso nuotare, come nei suoi momenti più felici. Come Peter Pan spiegava a Wendy e ai suoi fratelli, al fine di volare: pensa pensieri felici.

Ho perlustrato le nicchie di vecchie gioie, fermandomi in un momento di esaltazione segreta. Anche se ci sarebbe voluto del tempo, sapevo come farlo. In primo luogo avrei chiuso gli occhi e mi sarei concentrata sulle mani di una bambina di dieci anni, che infila nei pattini il prezioso laccio della scarpa di un bambino di dodici anni. Pensa pensieri felici. Vorrei semplicemente pattinare attraverso il portale.

5. Sei più resistente di quanto credi.

Da bambina pensavo che non sarei mai cresciuta, che avrei potuto volere così. E poi mi sono resa conto, poco tempo fa, che avevo attraversato una qualche linea, inconsciamente ammantata nella verità della mia cronologia. Come siamo diventati così dannatamente vecchi? Dico alle mie articolazioni, ai miei capelli color del ferro. Ora sono più vecchia del mio amore, dei miei amici perduti. Forse vivrò così a lungo che la New York Public Library sarà obbligata a consegnarmi il bastone da passeggio di Virginia Woolf. Me ne prenderei cura per lei, e le pietre nella sua tasca. Ma vorrei anche continuare a vivere, rifiutando di abbandonare la penna.


Nota del Traduttore
N.d.T.: La M Sixth Avenue Local è una linea di trasporto rapido nella divisione B della metropolitana della città di New York.

mercoledì 23 settembre 2015

Partorire in mondi diversi

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: The New Yorker, by Janet Elise Johnson
Photographs by: Moa Karlberg


S, Svezia
P, Tanzania

Le fotografie della serie "Hundred Times the Difference" [N.d.T.], della fotografa Moa Karlberg, catturano, in primo piano, i volti di alcune donne nelle fasi finali del parto. Attraverso le immagini, vi è una vasta gamma di espressioni: coraggio e sensualità, trepidazione e attesa, dolore ed euforia. Ma nella loro intima prospettiva, le fotografie sottolineano la comune esperienza delle donne - l'intima concentrazione e la determinazione fisica nei loro ultimi e trasformativi momenti nel diventare madri.


N, Svezia



J, Tanzania

Guardando con attenzione, però, vedrete segni - sfondi bianchi sterili in alcune foto e tessuti fantasia in altre; un ago da agopuntura al centro di una fronte - che le donne nelle fotografie di Karlberg stanno vivendo esperienze di parto drasticamente diverse. Metà delle foto sono state scattate in Svezia e metà in Tanzania. Nel primo paese, quasi tutte le nascite avvengono negli ospedali, dove le donne hanno accesso al supporto delle ostetriche, le quali sono assistite da una sofisticata tecnologia medica, ove necessario. In Tanzania, invece, solo la metà delle nascite avviene in strutture mediche, e queste spesso si verificano in luoghi che mancano anche dei servizi più elementari.

M, Svezia
E, Tanzania
In una dichiarazione sul progetto, Karlberg, nativa svedese che ha viaggiato in Tanzania nel mese di giugno, con il sostegno della International Women’s Media Foundation, descrive la disparità tra le scene a cui ha potuto assistere in due luoghi. Nel suo paese d'origine, «La donna che sta per partorire è sdraiata sulle lenzuola bianche dell'ospedale pubblico... Accanto a lei c'è il marito, che le accarezza la schiena, parlandole per darle supporto, aiutandola a concentrarsi sul proprio respiro. Musica dagli altoparlanti. Acqua e succo di frutta sono sul tavolo accanto al letto regolabile in altezza. La donna ha una sua stanza e un bagno privato con vasca. Gli antidolorifici sono disponibili su richiesta." In Tanzania, "la donna che sta per partorire è sdraiata su una branda nuda e arrugginita, coperta di tessuti che ha portato con sé. Il rubinetto dell'acqua non funziona, e se anche fosse, l'acqua non sarebbe potabile. Se deve urinare c'è un secchio sul pavimento. Non vi è alcun membro della famiglia al suo fianco, ma altre tre donne, in brande analoghe e in varie fasi del travaglio, condividono la sua stanza. Mentre si lamentano, le infermiere dicono loro di stare tranquille. Poiché non vi sono antidolorifici, le donne hanno bisogno di risparmiare le forze per le spinte finali." Come risultato di queste estreme disparità, e la corrispondente differenza nella capacità di trattare le complicazioni mediche, il rischio di morire durante il parto in Tanzania è cento volte superiore a quello in Svezia.

K, Svezia
S, Tanzania

Ma nonostante questo abisso tra le nazioni per quel che riguarda la salute materna, spiegazioni semplici come occidente-migliore e modernizzazione-cura sono insufficienti. Come suggerisce Karlberg nell'ultima foto qui mostrata, una donna originaria dell'Uganda, che partorisce in Svezia – la Svezia ha sperimentato un'ondata di immigrati negli ultimi quattro decenni, molti dei quali rifugiati da luoghi dilaniati dai conflitti come l'Iraq, l'Eritrea , la Somalia, e ora la Siria. Sebbene la Svezia si sia dimostrata più accogliente di altre nazioni europee nell'attuale crisi dei rifugiati, il governo - influenzato dai democratici svedesi di estrema destra, che hanno ricevuto il sostegno di un elettore su otto nelle elezioni parlamentari del 2014 - è diventato più nativista e avaro circa il suo stato sociale. In Tanzania, nel frattempo, i tassi di mortalità materni sono lievemente migliorati negli ultimi anni poichè il paese ha registrato una impressionante crescita economica ed estesi aiuti stranieri, ma i tassi di oggi sono gli stessi che erano sessant'anni fa. In entrambi i paesi, gli assistenti al parto, che sono quasi tutte le donne, sono sottopagati e oberati di lavoro.

A, Svezia
A, Tanzania
 
Nelle crude fotografie di Karlberg, queste molte iniquità sembrano al contempo evidenziate e cancellate. Le sue straordinarie, disadorne quasi-mamme sembrano trionfare in modi indipendenti da ciò che le circonda, e nonostante gli ostacoli alla responsabilizzazione che si estendono attraverso le linee razziali, etniche e nazionali. Ma gli ostacoli rimangono.

L, Svezia
M, Tanzania

B, Svezia














Nota del Traduttore
N.d.T.: "Cento volte la differenza"

martedì 15 settembre 2015

11 libri da leggere se amate Haruki Murakami

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: Bustle, by Alex Heimbach


Come "topo di biblioteca" del mio gruppo di amici, mi capita di dare molti consigli sulla letteratura. (Questo fatto probabilmente non sorprende molto, data la mia attuale occupazione.) Quando qualcuno mi chiede spunti su cosa leggere, cerco sempre di iniziare a capire cosa può piacergli - di solito chiedendo, "Ebbene, che cosa ti piace?" La risposta più comune è di gran lunga "Roba un po' strana, ma figa ... tipo Haruki Murakami."

La fissazione dei miei amici con Murakami forse non è sorprendente, dato che è ampiamente considerato uno dei più grandi scrittori viventi del mondo - negli ultimi anni, è stato in cima alle puntate di Las Vegas come vincitore del Premio Nobel per la letteratura. L'eccentrico autore è ancora più popolare in Giappone, dove ha da poco terminato un periodo come il più strano editorialista di una rubrica di consigli del mondo, durante il quale ha confessato di non preoccuparsi di quello che succede dopo la morte fintanto che gli sia possibile mangiare ostriche fritte e ha citato Ray Charles a un giovane con il cuore spezzato.

Quella strana sensibilità è una parte importante della popolarità di Murakami. I suoi libri riguardano la solitudine e la perdita, sì, ma sono anche pieni di criminali minacciosi, comunicazioni tramite sogni, e versioni della realtà un po' diverse. Gli 11 libri seguenti contengono avvenimenti strani e macabri più che sufficienti per intrattenervi tra le riletture di L'uccello che girava le viti del mondo.

Cuori sgozzati [N.d.T.1], di Katherine Dunn


Il romanzo della Dunn racconta la tragica storia contorta dei Binewskis, una famiglia circense allevata come fenomeni da baraccone: un aquaboy, una coppia di gemelli siamesi, un gobbo, e un bambino apparentemente normale. Dunn ha un certo modo di descrivere i dettagli sensoriali - la rappresentazione di come la matriarca della famiglia perse i denti mi dà ancora gli incubi.
The Isle Of Youth [N.d.T.2], di Laura Van Den Berg


Queste storie di giovani donne in situazioni di disagio mancano dell'irrealtà dei mondi alternativi di Murakami e di mascotte aziendali assassine, ma condividono il tono di distaccato presagio dei suoi romanzi. In entrambi i mondi, si ha la sensazione che le cose non quadrino del tutto, senza mai essere veramente sicuri del perché.

Concerto per archi e canguro, di Jonathan Lethem


Il primo romanzo - spesso dimenticato - di Lethem è un tecno-noir estremamente piacevole su un investigatore privato in una futuristica Oakland in cui gli animali detengono posti di lavoro, tutti si drogano, e i poliziotti sono corrotti. È Murakami con gli elementi di genere alzati a 11 - favolosamente strani e stranamente furbi.

Le quattro casalinghe di Tokyo, di Natsuo Kirino


Non c'è niente di particolarmente fantastico nel romanzo di Kirino. Racconta la storia di quattro donne costrette in una cospirazione criminale dopo che una di loro uccide quel coglione di suo marito. Ma questo sguardo inesorabilmente oscuro sul ruolo delle donne nella cultura giapponese offre un ritratto più solido di molti argomenti e temi di Murakami, così come resta fine a se stesso un thriller avvincente.

Un problema di lupi mannari nella Russia centrale, di Victor Pelevin


Si potrebbe ragionevolmente descrivere Un problema di lupi mannari nella Russia centrale come un romanzo raccontato da una delle psicho-prostitute di Murakami. Ma farlo significherebbe svalutare il notevole narratore di Pelevin: una volpe mannara di 2.000 anni che si nutre delle fantasie degli uomini e riflette sulla filosofia buddista.

L'incubo di Hill House, di Shirley Jackson


Potreste non avere alcuna idea di chi sia Shirley Jackson, se non forse la signora che ha scritto quella storia raccapricciante sulla lapidazione a morte che il vostro insegnante vi ha fatto leggere in seconda media. Ma dopo decenni di abbandono da parte della critica, il suo lavoro sta finalmente vedendo il tipo di lode che merita. La Jackson è una maestra del misterioso e dell'inquietante, e in questo romanzo, traccia con grazia la linea di demarcazione tra il soprannaturale e lo psicologico, lasciandovi alla fine incerti su ciò che sta realmente accadendo nella casa del titolo.

Finzioni, di Jorge Luis Borges


La prima volta ho letto Borges in spagnolo, che io parlo solo in modo passabile. Così la notevole stranezza delle sue storie era in qualche modo esaltata dalla mia confusione linguistica. Ma avendo poi rivisitato i suoi racconti in inglese, posso tranquillamente riferire che l'effetto disorientante è intenzionale. In questi racconti di biblioteche e labirinti, Borges tesse insieme il reale e l'immaginato senza soluzione di continuità.

L'atlante delle nuvole, di David Mitchell


Mitchell è quasi acclamato quanto Murakami - almeno nel mondo anglofono - e condivide alcune preoccupazioni con l'altro scrittore, tra cui la storia giapponese e le connessioni mistiche tra gli individui. Ma L'atlante delle nuvole brilla davvero nell'espansività non-da-Murakami. Mitchell porta alla vita sei diverse prospettive in sei generi diversi, dalle lettere di un pianista del 19° secolo al racconto sci-fi di un clone ribelle in una Corea distopica.

Storia d'amore vera e supertriste, di Gary Shtyengart


Se siete più intrigati dalle storie d'amore di Murakami piuttosto che dai suoi meandri metafisici, allora il romanzo ambientato in un prossimo futuro di Sheyngart è il libro per voi. La traiettoria condannata del rapporto tra lo scialbo uomo di mezza età Lenny Abramov e la bella e giovane Eunice Kim è evidente dal titolo. Ma Shteyngart riesce a trasformare quello che potrebbe facilmente essere il racconto cliché di una donna dalla bellezza superficiale che approfitta di un triste ometto in qualcosa di molto più complesso e onesto. Il finale è la più triste e più vera rappresentazione di una rottura che posso ricordare di aver letto.

Paprika [N.d.T.3], di Yasutaka Tsutsui


Questo romanzo è probabilmente il più strano della lista. Racconta i tentativi della psichiatra Atsuko Chiba di fermare i suoi colleghi gelosi dall'utilizzare la sua ricerca per invadere i sogni della gente e infettarli con la schizofrenia. Tsutsui è ben noto in Giappone - Paprika fu pubblicato lì nel 1993, e successivamente adattato in un film popolare - ma merita maggiore consensi a livello internazionale.

Passione, di Jeanette Winterson


La sensibilità della Winterson è in qualche modo l'opposto di quella di Murakami. Lei è appassionata dove lui è distaccato, calda dove lui è freddo, ed effusiva dove lui è riservato. Eppure i due autori condividono l'attrazione per i modi in cui le nostre storie - personali e politiche - ci plasmano. Passione racconta la storia di uno dei soldati di fanteria di Napoleone e di una donna il cui marito si gioca il suo cuore.


Note del Traduttore
N.d.T.1: Geek Love è stato tradotto per la prima volta in italiano nel 1990 con il titolo "Cuori sgozzati" (Leonardo ed.), e successivamente nel 2008 con il titolo "Carnival Love" (Elliot ed.)
N.d.T.2: The Isle Of Youth non è stato tradotto in italiano
N.d.T.3: Paprika (パプリカ) non è stato tradotto in italiano

lunedì 14 settembre 2015

Che fine ha fatto Google Libri?

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: The New Yorker, by Tim Wu


Ci sono molti modi per attribuire la colpa del fallimento del progetto Google Libri.

È stato il progetto di biblioteca più ambizioso del nostro tempo - un piano per scansionare tutti i libri del mondo e metterli a disposizione del pubblico on-line. "Pensiamo di poter realizzare il tutto entro dieci anni", disse Marissa Mayer, allora uno dei vice-presidente di Google, a questa rivista nel 2007, quando Google Libri era nella sua fase beta. "È sbalorditivo per me, quanto sia vicino."

Oggi, il progetto si trova in una sorta di limbo. Da una parte, Google ha digitalizzato l'impressionante numero di trenta milioni di volumi, mettendosi in elenco con le librerie più grandi del mondo (la biblioteca del Congresso conta circa trentasette milioni di libri). È un grande risultato. Ma, mentre il corpus è impressionante, la maggior parte di esso rimane inaccessibile. Spesso ricerche di libri fuori stampa forniscono meri frammenti del testo - non c'è modo per ottenere l'accesso a tutto il libro. La cosa entusiasmante di Google Libri, dal mio punto di vista, non era solo la possibilità di leggere una riga qua e là; era la possibilità di esplorare il testo integrale di milioni di libri e periodici fuori stampa, senza un reale valore commerciale, ma che rappresentavano comunque un tesoro per il pubblico. In altre parole, sarebbe la prima biblioteca online del mondo degna di questo nome. Eppure il raggiungimento di tale obiettivo è stato ostacolato, nonostante Google avesse a disposizione una combinazione insolita di mezzi tecnologici, l'accordo di molti autori ed editori, e abbastanza soldi da compensare quasi chiunque ne avesse bisogno.

I problemi sono iniziati con un classico scontro culturale quando, nel 2002, Google iniziò la scansione dei libri, o nella speranza che l'idealismo del progetto avrebbe vinto tutti o seguendo il mantra che è sempre più facile ottenere il perdono che il permesso. Tale approccio non è andato troppo d'accordo con autori ed editori, che lo hanno citato per violazione del copyright. Ne seguirono due anni di insulti, perseveranza e contenziosi. Tuttavia, nel 2008, i rappresentanti di autori, editori e Google riuscirono a raggiungere un accordo per rendere la libreria completa a disposizione del pubblico, a pagamento, e alle istituzioni. L'accordo prevedeva anche terminali nelle biblioteche, ma non si è mai arrivati a tanto. Ma tale accordo poi passò sotto ulteriori attacchi da una nuova serie di critici, inclusa l'autrice Ursula Le Guin, che lo definì un "patto con il diavolo". Altri hanno sostenuto che l'accordo avrebbe potuto creare un monopolio dei libri fuori stampa online.

Quattro anni fa, un giudice federale si schierò con i critici e respinse l'accordo del 2008, aggiungendo che gli aspetti del problema sul copyright sarebbero stati trattati in modo più appropriato dalla legislatura. "Suona come un lavoro per il Congresso," disse al momento James Grimmelmann, professore di diritto presso la University of Maryland e uno dei maggiori antagonisti dell'accordo. Ma, naturalmente, lasciare le cose al Congresso è diventato sinonimo di non fare nulla, e, prevedibilmente, ben sette anni dopo l'annuncio della decisione del tribunale, stiamo ancora aspettando.

Ci sono molti modi per attribuire colpe in questa situazione. Se realmente Google era motivato dai più alti ideali di servizio al pubblico, allora avrebbe dovuto dichiarare il progetto come senza scopo di lucro dal principio, estinguendo così i timori che l'azienda volesse in qualche modo ottenere un profitto dal lavoro altrui. Purtroppo, Google ha fatto l'errore che fa spesso, che è quello di pensare che la gente si fidi solo perché è Google. Da parte loro, gli autori e gli editori, anche se alla fine sono giunti a un accordo, erano scettici e orientati a pensare alla cospirazione, soprattutto quando si trattava di pesare diritti astratti e soprattutto inutili contro l'interesse del pubblico ad avere accesso a opere oscure. Infine, i critici esterni e le corti erano fin troppo entusiasti di sopprimere, piuttosto che migliorare, un accordo raggiunto dopo tanti anni, portando effettivamente il progettoindietro di un decennio, se non più.

Negli ultimi anni, la Authors Guild [N.d.T.1] ha utilmente proposto una soluzione nota come sistema di "licenze collettive estese". Utilizzando un meccanismo complesso, permetterebbe ai proprietari di biblioteche fuori stampa scansionate, come Google o effettivi non-profit come la biblioteca Hathitrust [N.d.T.2], di renderne fruibile una serie limitata, con pagamenti agli autori. Il Copyright Office degli Stati Uniti sostiene questo piano. Io ho un suggerimento più semplice, soprannominato la licenza Big Bang. Il Congresso dovrebbe consentire a chiunque con una biblioteca digitalizzata a pagare un certo prezzo - diciamo, centoventicinque milioni di dollari - per ottenere una licenza, fatte salve eventuali deroghe, consentendo loro di rendere quelle stampe digitalizzate disponibili alle istituzioni o agli abbonati individuali. Quel denaro sarebbe diviso in parti uguali tra tutti gli aventi diritti che lo richiedano entro tre anni – cinquanta e cinquanta tra autori ed editori. Si tratta, è vero, di una soluzione rozza e unica al problema, ma sarebbe adatta, e potrebbe solo significare che il mondo avrebbe la possibilità di accedere alla prima vera biblioteca online in questa vita.


Note del Traduttore
N.d.T.1: la Authors Guild è la più antica e grande organizzazione professionale americana per gli scrittori.
N.d.T.2: Hathitrust è un grande archivio collaborativo di contenuti digitali da biblioteche di ricerca.

martedì 25 agosto 2015

La traduzione è un problema d'arte o di matematica?

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: The New York Times Magazine, by Gideon Lewis-Kraus

http://www.nytimes.com/2015/06/07/magazine/is-translation-an-art-or-a-math-problem.html?smid=tw-share&_r=2


Un famoso dilemma esistenziale, passato attraverso Google Translate


Un'aspirazione Illuminista, che l'industria della fantascienza ha da tempo dato per scontato come una condizione intergalattica necessaria, è il traduttore universale. In un episodio di "Star Trek" del 1967, il signor Spock assembla questo tipo di dispositivo con pezzi di ricambio che si trovano nella nave. Un cilindro cromato allungato con spie lampeggianti rosse e verdi, assomigliante a una spada laser retratta; il Capitano Kirk spiega come funziona con una disquisizione improvvisata sui principi della "grammatica universale" di Chomsky, e sbarcano sul pianeta deserto di Gamma Canaris N, dove saranno tenuti in ostaggio da un alieno. L'alieno, che chiamano la Compagna, si materializza come una frazione di nuvola scintillante. Sembra un albero di Natale arancione fatto di mortadella vaporizzata. Kirk afferra il traduttore e lo rivolge verso il loro rapitore in un lento, paternalistico tono da metti-giù-la-pistola. La potentissima Compagna è stupita.

"I miei pensieri", dice con un po' di confusione "li potete sentire."

Lo scambio sottolinea l'ambizione utopica che a lungo ha motivato la traduzione universale. La Compagna potrebbe essere una nebbia di ioni con globuli scintillanti di viscere, un ammasso di parti robuste di carne sospese in gelatina, ma una volta che Kirk ha stabilito la comunicazione, la prima cosa che fa è insegnarle a comprendere l'amore. È un sogno che si rifà alla Genesi, quello di una lingua comune che mappa perfettamente il mondo. Nelle Scritture, questo ha permesso all'umanità di essere così ben coordinata, così simile nella sua comprensione, che tutti i subappaltatori del mondo concordassero un tempo per costruire una torre per il cielo. Da Babele, però, anche i progetti di costruzione più piccoli sono afflitti da terribili ritardi.

La traduzione è possibile, eppure siamo ancora tormentati dal conflitto. Questo stato di cose è spesso attribuito ai traduttori, che non devono star facendo un lavoro appropriatamente fedele. L'espressione più concisa di questo sospetto è "traduttore, traditore", un modo di dire italiano comune, che è davvero un dibattito mascherato da proverbio. In inglese, letteralmente, "translator, traitor", ma anche se questo è semanticamente il punto, non corrisponde all'armoniosità sillabica dell'originale, e dimostra quindi l'impossibilità affermata.

La traduzione promette unità, ma comporta il tradimento. Nella sua meravigliosa indagine sulla storia e sulla pratica della traduzione, “Is That a Fish in Your Ear?”, il traduttore David Bellos spiega che l'idea stessa di "infedeltà" ha radici nell'Impero Ottomano. I sultani e i membri della loro corte rifiutarono di imparare le lingue degli infedeli, quindi il compito di scambiare comunicazioni con l'Europa era svolto da una casta ereditaria di traduttori, i Fanarioti. Erano Greci con la cittadinanza veneziana, residenti a Istanbul. Ai diplomatici europei non piaceva lavorare con loro, perché la loro fedeltà non era nei confronti dell'intento dell'originale straniero, ma della preferenza del sultano. (Apparentemente i Turchi ottomani non sapevano che l'ambasciator non porta pena, quindi il loro lavoro era una questione di vita o di morte.) Conserviamo questa persistente associazione tra traduzione e tradimento.

L'impero inglese ha una nuova classe Fanariota, e stanno inventando le spade laser cromate delle applicazioni del prossimo futuro utopico. Sono madrelingua C++, e risiedono in mezzo a noi in prestito semipermanente da Internet. Dal lato positivo, non sono fedeli a nessun sultano. L'inconveniente è che non sono particolarmente fedeli ad alcun linguaggio in assoluto.

Google Translate è di gran lunga l'impresa che ha fatto di più per realizzare il vecchio sogno fantascientifico di scambio sereno e fluido. Il gigante della ricerca ha reso onnipresenti quei pulsanti, nella posta elettronica e sui siti web, che offrono la conversione istantanea tra coppie di lingue. Google dice che il servizio viene utilizzato più di un miliardo di volte al giorno in tutto il mondo, da più di 500 milioni di persone al mese. La sua applicazione mobile introduce questi pulsanti nel mondo fisico: la fotocamera esegue in tempo reale traduzioni di ciò che abbiamo intorno, segni o menu in sette lingue, e la modalità di conversazione permette un colloquio fluente, mediato dalla voce del robot, in 32. Ci sono storie di una donna congolese che ha partorito in un'ambulanza irlandese con l'aiuto di Google Translate e genitori adottivi in Mississippi che crescono un bambino proveniente dalla Cina rurale.

Dal 2009, il documento politico in materia di innovazione della Casa Bianca ha incluso, nella sua lista di priorità a breve termine, la "traduzione automatica, ad alta precisione e in tempo reale" per smantellare tutte le barriere al commercio e alla cooperazione internazionale. Se ciò fosse possibile, una varietà di industrie locali perderebbe il vantaggio finale del loro mimetismo naturale, e la centralizzazione - nei social network, nei media, nella scienza - accelererebbe geometricamente. Nessuno nella traduzione automatica pensa che siamo in minima parte vicini a questo obiettivo; per ora, gli sforzi della disciplina sono per lo più interessati al doveroso assemblaggio di "camion da carico" per trasportare le informazioni attraverso i confini linguistici. La speranza è che le macchine possano eseguire in modo efficiente ed economico il lavoro di interpretare frasi il cui contenuto informativo è fondamentale: "Questo metallo è caldo", "Mia madre si trova in quella casa crollata", "State lontani da quel serpente". Oltre al suo uso in Google Translate, la traduzione automatica ha riscontrato più successo ed è stata più ampiamente implementata nella propagazione di previsioni del tempo attraverso il continente o nella riproduzione in 27 lingue di manuali d'uso per gli elettrodomestici. Come mi ha detto un ricercatore, "Siamo grandi se siete estoni e si è rotto il tostapane."

Warren Weaver, uno dei fondatori della disciplina, ha ammesso: "Nessuna persona ragionevole pensa che una traduzione automatica possa mai raggiungere eleganza e stile. Pushkin non deve rabbrividire." L'intera impresa si presenta in toni da camice di modestia. L'assunzione meno modesta dietro l'obiettivo, però, è che sia possibile separare il contenuto informativo di una frase dal suo stile. I traduttori umani, come i poeti, potrebbero essere descritti come persone per le quali una tale distinzione non è mai chiara o evidente. Ma i traduttori umani, oggi, non hanno praticamente nulla a che fare con il lavoro svolto nella traduzione automatica. La maggior parte dei protagonisti della traduzione automatica hanno poca o nessuna esperienza in linguistica, tanto meno in lingue o letterature straniere. Invece, sono quasi tutti scienziati informatici. Il loro rapporto con il linguaggio è mediato tramite lunghi guanti protettivi attraverso pareti di vetro piatto.

Molti degli algoritmi utilizzati da Google e Skype Translator sono stati sviluppati e affinati da ricercatori universitari. Nel mese di maggio, un linguista computazionale di nome Lane Schwartz, che insegna presso la University of Illinois a Urbana-Champaign, ha ospitato la prima Machine Translation Marathon in America, un hackathon di una settimana per migliorare gli strumenti open-source che condividono quelli senza le risorse di Google. Urbana-Champaign è largamente conosciuta al di fuori dell'Illinois per due persone: David Foster Wallace, che è cresciuto lì, e Marc Andreessen, che ha inventato il primo browser web grafico ampiamente adottato, quando era studente all'università. (Schwartz suggeriva una terza: HAL 9000.) Si è tentati di vederli come i due estremi dello spettro: Wallace come partigiano di neologismi, allusioni e profondità, Andreessen sul lato della proliferazione, accesso e ampiezza.

A questa conferenza, per lo meno, lo spirito di Andreessen ha prevalso. Sebbene i partecipanti provenissero da luoghi come Grecia, India, Israele, Suriname e Taiwan, quasi nessuno ha tradito alcun interesse per il linguaggio in quanto tale. Hanno capito che il linguaggio è qualcosa di ricco e scivoloso, ma erano lì per la matematica.

La maratona ha avuto luogo presso un centro congressi collegato a qualcosa chiamato iHotel. Il centro era un corridoio a forma di U fiancheggiato da camere nominate come le virtù – la sala riunioni Direttiva, la stanza Fedeltà, la sala Conoscenza, la sala Innovazione e la stanza Eccellenza. Alle presentazioni, gli informatici con espressioni serie commentavano regolarmente "I paragrafi probabilmente dovrebbero essere coerenti per tema" o "la struttura grammaticale può avere importanza in una frase". Un relatore ha affermato che a volte il francese pone gli aggettivi prima del sostantivo e a volte dopo, ma che, ha concluso con una breve scrollata di spalle, "nessuno sa perché o quando."

Uno dei presentatori della maratona americana ha indossato per due giorni consecutivi logore T-shirt grammaticali - una con scritto, "La buona grammatica non costa nulla!" e l'altra, "Sto correggendo silenziosamente la tua grammatica" - così ho immaginato potesse vedere il suo lavoro algoritmico nel contesto di interessi linguistici più ampi. Gli ho chiesto se parlava altre lingue, e mi ha detto: «Parlo francese imparato alle superiori, vale a dire che non lo faccio. Ma è sorprendente quanto poco ci aiuta conoscere un'altra lingua. Quando si lavora con tante lingue, in realtà non è utile conoscerne". (Sulla sua terza maglietta c'era scritto,"Non seguirmi, mi sono perso anch'io.")

La possibilità di una traduzione automatica, Schwartz ha spiegato, è emersa dalla Seconda Guerra Mondiale. Weaver, scienziato e amministratore di governo americano, aveva conosciuto il lavoro dei crittografi britannici che capirono il codice Enigma dei tedeschi. Gli venne in mente che le indagini di crittografia avrebbero potuto risolvere un problema del dopoguerra: restare aggiornati sulle pubblicazioni scientifiche russe. Semplicemente non c'erano abbastanza traduttori in giro, e anche se ci fossero stati, ne sarebbe stato necessario un esercito per restare al passo con la letteratura. "Quando guardo un articolo in russo", ha scritto Weaver, "dico: 'Questo, in realtà, è stato scritto in inglese, ma è stato codificato in alcuni strani simboli. Procederò ora alla decodifica.'"In questa prospettiva, il russo era solo inglese travestito con un costume cirillico, solo un piccolo passo rimosso dal pig latin [N.d.T.].

Nel giro di un anno o due, questa idea è stata accettata come assurda, eppure la nozione più ampia di elaborazione algoritmica rimane. Nel 1954 il pubblico americano è stato sottoposto a una dimostrazione della prima applicazione non numerica dell'informatica. Una segretaria ha digitato una frase in russo su una serie di schede perforate; il computer ha ronzato e tirato fuori un equivalente inglese. Il Christian Science Monitor ha scritto che il "cervello elettronico" alla manifestazione "non ha nemmeno sforzato la sua superlativa versatilità, fornendo la sua interpretazione con un atteggiamento disinvolto di presunta conquista intellettuale."

Tale dimostrazione, tuttavia, è stata fondamentalmente truccata. Il computer era stato fornito di un vocabolario pidgin (per un totale di 250 parole) e gli avevano proposto una dieta di semplici frasi dichiarative. Nel 1960, uno dei primi ricercatori nel campo, il filosofo e matematico Yehoshua Bar-Hillel, ha scritto che nessuna traduzione automatica sarebbe mai stata accettabile senza una "revisione" umana; ha richiamato l'attenzione su frasi come "La penna è nella scatola" e "La scatola è nella penna". Un traduttore automatico, per avere successo in una situazione di ambiguità semantica, avrebbe bisogno di avere a portata di mano non solo un dizionario, ma anche un "un'enciclopedia universale". Il futuro più luminoso per la traduzione automatica, ha suggerito, dovrebbe contare su sforzi coordinati tra macchine laboriose ed esseri umani ben addestrati. La comunità scientifica ha accettato ampiamente questo punto di vista: la traduzione automatica richiede l'aiuto di linguisti addestrati, che deriverebbero regole grammaticali sempre più astratte per distillare linguaggi naturali fino ai set di simboli formali che le macchine possono manipolare.

Questo paradigma ha prevalso fino al 1988, anno zero per la moderna traduzione automatica, quando un team di ricercatori di riconoscimento vocale di IBM ha presentato un nuovo approccio. Questi scienziati informatici hanno proposto che l'intuizione di Warren Weaver sulla crittografia era essenzialmente corretta - ma che i computer dell'epoca non erano abbastanza potenti per svolgere il lavoro. "Il nostro approccio", hanno scritto, "evita l'uso di un meccanismo intermedio (lingua), che codifica il 'significato' del testo di partenza." Tutto quello che si doveva fare era caricare risme di testo parallelo attraverso una macchina e calcolare la statistica probabilità di incontri tra le varie lingue. Se si allena un computer con materiale sufficiente, arriverà a capire che il 99,9 per cento delle volte, "the butterfly" in un testo inglese corrisponde a "le papillon" in un parallelo testo francese. Un ricercatore ha scherzato sul fatto che il suo sistema migliorava sensibilmente ogni volta che licenziava un linguista. I collaboratori umani, preoccupati delle sfumature di "significato", d'ora in poi potranno essere eliminati del tutto.

Anche se alcuni ricercatori ancora cercano di formare i loro computer a tradurre Dante con stile, il metodo di "forza bruta" sembra destinato a rimanere in ascesa. Questa strategia statistica, che supporta Google Translate e Skype Translator e qualsiasi altro sistema contemporaneo, è stata sottoposta a quasi tre decenni di affinamento costante. I problemi di ambiguità semantica sono stati ridotti - ponendo praticamente nessuna attenzione alla semantica. La parola inglese "bank", per usare un esempio frequente, può significare sia "ente finanziario" che "lato di un fiume", ma queste sono due parole distinte in francese. Quando dovrebbe essere tradotto come "banque", quando come "rive"? Un modello probabilistico farà in modo che il computer esamini alcune delle altre parole vicine. Se la frase contiene altrove le parole "soldi" o "rapina", la traduzione corretta è probabilmente "banque". (Questo non funziona in tutti i casi, naturalmente - una macchina potrebbe trovarsi in difficoltà con una frase relativamente semplice come "Un parigino deve avere un sacco di soldi per vivere sulla riva sinistra"). Inoltre, se avete un buon modello probabilistico di come appaiono o meno frasi standard in una lingua, saprete che l'equivalente francese di "La scatola è nello strumento da scrittura pieno di inchiostro" non si incontra praticamente mai.

L'enfasi contemporanea non è quindi sulla ricerca di modi migliori per riflettere la ricchezza o la complessità della lingua di partenza, ma sull'utilizzo di modelli di linguaggio per appianare un dato ingarbugliato. Una buona metafora per l'atto di traduzione è simile al tentativo di rispondere alla domanda "Quale giocatore nella pallacanestro corrisponde al quarterback?" I ricercatori attuali ritengono che non c'è realmente bisogno di sapere molto di football per rispondere a questa domanda; bisogna solo fare in modo che le persone che sono state chiamate a giocare a pallacanestro capiscano le regole del gioco. In altre parole, la conoscenza di una determinata lingua di partenza - e l'enciclopedia culturale universale casualmente codificata al suo interno - risulta sempre più irrilevante.

Molti linguisti computazionali continuano a sostenere che, dopo tutto, sono interessati solo al "concetto" e che il loro dovere è quello di trovare il modo economico e veloce di trasportarlo attraverso le lingue. Ma, in realtà, si sono arrogati il potere di disegnare una linea luminosa dove finisce "il concetto" e ha inizio "lo stile". I traduttori umani pensano che non sia così semplice. L'atteggiamento della macchina è che quando la madre di qualcuno è intrappolata sotto una casa, è inutile e ridondante preoccuparsi troppo delle sfumature. Vede la ridondanza e l'allusività delle lingue naturali come una questione non di complessità ma di confusione e inefficienza. La maggior parte delle espressioni preziose ritornano alla media della probabilità statistica. Se questo la rende impopolare con poeti e appassionati del linguaggio, così sia. "Andate al convegno della American Translators Association", mi ha detto un partecipante della maratona, "e vedrete - ci odiano"

Questo è in parte vero. Come mi ha spiegato la traduttrice Susan Bernofsky, "Creano l'impressione che la traduzione non sia un'arte." (Una traduttrice letteraria ampiamente ammirata, che è voluta rimanere anonima, ha ammesso che, sebbene lei si preoccupi della missione della traduzione automatica, pensa che Google Translate sia un meraviglioso strumento per scrivere note alla donna che le pulisce la casa.)

Ciò che più infastidisce i traduttori umani non è l'arroganza delle macchine, ma la loro appropriazione del lavoro di esseri umani dimenticati o anonimi. La traduzione automatica sopravviene necessariamente a un precedente sforzo umano; altrimenti non ci sarebbero i corpora paralleli che le macchine usano per fare il loro lavoro. Ho detto a un laureato israeliano che avevo letto la pagina Wikipedia di Yehoshua Bar-Hillel e avevo scoperto che sua nipote, Gili, è una piccola celebrità in Israele come traduttrice della saga di "Harry Potter". Non aveva sentito parlare di lei e non sembrava interessato al processo mediante il quale un editore ha pagato per l'importazione di libri di magia per i bambini. Ma non avremmo strumenti come Google Translate per la coppia di lingue ebraico-inglese se Bar-Hillel non avesse tradotto di persona, con cura, più di 4.000 pagine di un corpus parallelo estremamente utile. In un certo senso, le loro macchine non stanno effettivamente traducendo; corrono solo lungo i binari creati da altri. Questo è il peccato originale della traduzione automatica: il campo non sarebbe nessuna parte senza i traduttori umani che cercano, tuttavia modestamente, di sostituire.

Forse per mascherare il senso di colpa associato, il gruppo a Urbana-Champaign ha coltivato un risentimento minore verso le loro controparti umane. Più di una volta ho sentito qualcuno alla maratona far riferimento al fatto che i traduttori umani sono meticolosi e incoerenti e inclini a lamentarsi. Il controllo qualità è impossibile. Come un partecipante mi ha spiegato, "Se mostri a un traduttore una versione non identificata di una sua traduzione di un testo di un anno fa, scosterà lo sguardo e ti dirà che è terribile."

Un linguista computazionale ha detto, con un ghigno d'intesa, che c'è un motivo per cui abbiamo più di 20 traduzioni in inglese del "Don Chisciotte." Deve essere perché nessuno la fa mai per bene. Se i traduttori non riescono nemmeno a decidersi su cosa significhi essere "fedele" o "preciso", qual'è il punto di preoccuparsene tanto? Sbarazziamoci di tutto l'antiquato concetto di fedeltà. Tutti i Sancho Panza, tutti i traduttori umani e tutti i linguisti computazionali sono sulla stessa barca che perde, ma le macchine tagliano la corda, mentre gli umani ricamano monogrammi sulle vele.

Ma, come molti ingegneri, i linguisti computazionali sono così devoti al potere e alla maestria dei propri mezzi che tendono a perdere la prospettiva su quale sia l'estremità sulla quale stanno avanzando. Il problema dei traduttori umani, dai tempi dei Fanarioti, è che c'è sempre la possibilità che essi possano essere al servizio dei loro capi, piuttosto che dell'intento del testo stesso. Ma almeno un traduttore umano si pone le domande - A quale scopo è destinato a servire questo testo? Quali obiettivi sono codificati in questa lingua? - che una macchina considera interamente fuori luogo.

Il problema è che tutti i testi hanno uno scopo in mente, e ciò che fa un buon traduttore umano è prestare attenzione a come tali scopi servano alla fine - come esiste lo "stile" in relazione al "concetto". La stranezza è che credere nell'esistenza di un "concetto" isolato, oscura spesso gli interessi al cuore della traduzione. Verso la fine della maratona, ho chiesto a un partecipante perché ha scelto di mettere le sue conoscenze informatiche al servizio della traduzione. Ha menzionato, come molti di loro hanno fatto, il desiderio di sviluppare strumenti che potrebbero essere utili in caso di terremoti o guerre. Inoltre, ha detto, sperava di contribuire a ottimizzare l'intervallo di tempo nella proliferazione di notizie internazionali. Gli ho chiesto cosa volesse dire.

"C'è stato, per esempio, un enorme ritardo con l'incidente Germanwings."

Non era l'esempio che mi aspettavo. "Ma a quanto ammontava quel ritardo, circa 10 o 15 minuti?"

Lui ha inclinato la testa "È un ritardo enorme, se lavori in borsa."

Non ho detto niente a parole, ma il mio corpo o il mio viso devono aver comunicato una risposta che l'ingegnere ha frainteso come ignoranza. "Si chiama arbitraggio multilingue. Se crolla una miniera in spagna, ci si vuol commerciare il più rapidamente possibile".

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Gideon Lewis-Kraus è collaboratore della rivista e autore di “A Sense of Direction: Pilgrimage for the Restless and the Hopeful.”


Nota del Traduttore
N.d.T.: Il "Pig Latin" è un gioco linguistico nato in lingua inglese ma adattabile a qualsiasi altra lingua. Viene generalmente usato dai ragazzi per non farsi capire dagli adulti (in modo simile all'alfabeto farfallino in italiano), o anche solo per gioco.