lunedì 14 settembre 2015

Che fine ha fatto Google Libri?

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: The New Yorker, by Tim Wu


Ci sono molti modi per attribuire la colpa del fallimento del progetto Google Libri.

È stato il progetto di biblioteca più ambizioso del nostro tempo - un piano per scansionare tutti i libri del mondo e metterli a disposizione del pubblico on-line. "Pensiamo di poter realizzare il tutto entro dieci anni", disse Marissa Mayer, allora uno dei vice-presidente di Google, a questa rivista nel 2007, quando Google Libri era nella sua fase beta. "È sbalorditivo per me, quanto sia vicino."

Oggi, il progetto si trova in una sorta di limbo. Da una parte, Google ha digitalizzato l'impressionante numero di trenta milioni di volumi, mettendosi in elenco con le librerie più grandi del mondo (la biblioteca del Congresso conta circa trentasette milioni di libri). È un grande risultato. Ma, mentre il corpus è impressionante, la maggior parte di esso rimane inaccessibile. Spesso ricerche di libri fuori stampa forniscono meri frammenti del testo - non c'è modo per ottenere l'accesso a tutto il libro. La cosa entusiasmante di Google Libri, dal mio punto di vista, non era solo la possibilità di leggere una riga qua e là; era la possibilità di esplorare il testo integrale di milioni di libri e periodici fuori stampa, senza un reale valore commerciale, ma che rappresentavano comunque un tesoro per il pubblico. In altre parole, sarebbe la prima biblioteca online del mondo degna di questo nome. Eppure il raggiungimento di tale obiettivo è stato ostacolato, nonostante Google avesse a disposizione una combinazione insolita di mezzi tecnologici, l'accordo di molti autori ed editori, e abbastanza soldi da compensare quasi chiunque ne avesse bisogno.

I problemi sono iniziati con un classico scontro culturale quando, nel 2002, Google iniziò la scansione dei libri, o nella speranza che l'idealismo del progetto avrebbe vinto tutti o seguendo il mantra che è sempre più facile ottenere il perdono che il permesso. Tale approccio non è andato troppo d'accordo con autori ed editori, che lo hanno citato per violazione del copyright. Ne seguirono due anni di insulti, perseveranza e contenziosi. Tuttavia, nel 2008, i rappresentanti di autori, editori e Google riuscirono a raggiungere un accordo per rendere la libreria completa a disposizione del pubblico, a pagamento, e alle istituzioni. L'accordo prevedeva anche terminali nelle biblioteche, ma non si è mai arrivati a tanto. Ma tale accordo poi passò sotto ulteriori attacchi da una nuova serie di critici, inclusa l'autrice Ursula Le Guin, che lo definì un "patto con il diavolo". Altri hanno sostenuto che l'accordo avrebbe potuto creare un monopolio dei libri fuori stampa online.

Quattro anni fa, un giudice federale si schierò con i critici e respinse l'accordo del 2008, aggiungendo che gli aspetti del problema sul copyright sarebbero stati trattati in modo più appropriato dalla legislatura. "Suona come un lavoro per il Congresso," disse al momento James Grimmelmann, professore di diritto presso la University of Maryland e uno dei maggiori antagonisti dell'accordo. Ma, naturalmente, lasciare le cose al Congresso è diventato sinonimo di non fare nulla, e, prevedibilmente, ben sette anni dopo l'annuncio della decisione del tribunale, stiamo ancora aspettando.

Ci sono molti modi per attribuire colpe in questa situazione. Se realmente Google era motivato dai più alti ideali di servizio al pubblico, allora avrebbe dovuto dichiarare il progetto come senza scopo di lucro dal principio, estinguendo così i timori che l'azienda volesse in qualche modo ottenere un profitto dal lavoro altrui. Purtroppo, Google ha fatto l'errore che fa spesso, che è quello di pensare che la gente si fidi solo perché è Google. Da parte loro, gli autori e gli editori, anche se alla fine sono giunti a un accordo, erano scettici e orientati a pensare alla cospirazione, soprattutto quando si trattava di pesare diritti astratti e soprattutto inutili contro l'interesse del pubblico ad avere accesso a opere oscure. Infine, i critici esterni e le corti erano fin troppo entusiasti di sopprimere, piuttosto che migliorare, un accordo raggiunto dopo tanti anni, portando effettivamente il progettoindietro di un decennio, se non più.

Negli ultimi anni, la Authors Guild [N.d.T.1] ha utilmente proposto una soluzione nota come sistema di "licenze collettive estese". Utilizzando un meccanismo complesso, permetterebbe ai proprietari di biblioteche fuori stampa scansionate, come Google o effettivi non-profit come la biblioteca Hathitrust [N.d.T.2], di renderne fruibile una serie limitata, con pagamenti agli autori. Il Copyright Office degli Stati Uniti sostiene questo piano. Io ho un suggerimento più semplice, soprannominato la licenza Big Bang. Il Congresso dovrebbe consentire a chiunque con una biblioteca digitalizzata a pagare un certo prezzo - diciamo, centoventicinque milioni di dollari - per ottenere una licenza, fatte salve eventuali deroghe, consentendo loro di rendere quelle stampe digitalizzate disponibili alle istituzioni o agli abbonati individuali. Quel denaro sarebbe diviso in parti uguali tra tutti gli aventi diritti che lo richiedano entro tre anni – cinquanta e cinquanta tra autori ed editori. Si tratta, è vero, di una soluzione rozza e unica al problema, ma sarebbe adatta, e potrebbe solo significare che il mondo avrebbe la possibilità di accedere alla prima vera biblioteca online in questa vita.


Note del Traduttore
N.d.T.1: la Authors Guild è la più antica e grande organizzazione professionale americana per gli scrittori.
N.d.T.2: Hathitrust è un grande archivio collaborativo di contenuti digitali da biblioteche di ricerca.

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