lunedì 20 luglio 2015

Perché la nutrizione confonde tanto

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: The New York Times, by Gary Taubes


A quasi sei settimane dall'inizio della stagione della dieta 2014, è facile scommettere che molti di noi che tra i propositi del nuovo anno avevano deciso di perdere peso hanno già raggiunto il picco. Se gli studi clinici sono di una qualche indicazione, abbiamo perso gran parte del peso che ci si può aspettare di perdere. In un anno o due torneremo di nuovo a un paio di chili da dove siamo oggi.

La domanda è perché. Si tratta di un fallimento di forza di volontà o di tecnica? È stata la dieta che abbiamo scelto – che fosse dall'ultimo libro di dieta di successo o semplicemente un tentativo di mangiare meno e fare più esercizio fisico – a essere destinata al fallimento? Considerando che l'obesità e le malattie a essa correlate - in particolare, il diabete di tipo 2 - ora costano al sistema sanitario più di 1 miliardo di dollari al giorno, non è iperbolico suggerire che la salute della nazione può dipendere da quale sia la risposta corretta.

Dagli anni sessanta, la scienza della nutrizione è stata dominata da due osservazioni contrastanti. Una è che sappiamo come mangiare sano e mantenere un peso sano. L'altra è che i tassi di rapido aumento dell'obesità e del diabete suggeriscono che qualcosa circa il pensiero convenzionale è semplicemente sbagliato.

Nel 1960, meno del 13% degli americani erano obesi, e il diabete era stato diagnosticato per l'1%. Oggi, la percentuale di americani obesi è quasi triplicata; la percentuale di americani con il diabete è aumentata di sette volte.

Nel frattempo, la letteratura di ricerca sull'obesità è aumentata a dismisura. Nel 1960 sono stati pubblicati meno di 1.100 articoli sull'obesità o sul diabete nella letteratura medica indicizzata. L'anno scorso sono stati più di 44.000. In totale, sono stati pubblicati oltre 600.000 articoli con la pretesa di trasmettere alcune informazioni significative su queste patologie.

Sarebbe bello pensare che questo diluvio di ricerca abbia portato chiarezza sulla questione. I dati di tendenza sostengono il contrario. Se comprendiamo questi disturbi così bene, perché abbiamo fallito tanto miseramente nel prevenirli? La spiegazione convenzionale è che sia la manifestazione di una realtà spiacevole: il diabete di tipo 2 è causato o aggravato dall'obesità, e l'obesità è un disturbo complesso, intrattabile. Quanto più si impara, tanto più abbiamo bisogno di sapere.

Ecco un'altra possibilità: i 600.000 articoli - insieme alle diverse decine di migliaia di libri di dieta - sono il rumore generato da una ricerca stabilita in modo disfunzionale. Poiché la comunità di ricerca nutrizionale ha fallito nel dimostrare una conoscenza affidabile e inequivocabile circa i trigger ambientali dell'obesità e del diabete, ha aperto la porta a una diversità di opinioni in materia, a ipotesi circa causa, cura e prevenzione, molte delle quali non possono essere confutate da prove esistenti. Ognuno ha una teoria. Non esistono prove per dire in modo inequivocabile chi abbia torto.

La situazione è comprensibile; si tratta di una esperienza di apprendimento nei limiti della scienza. Il protocollo della scienza è il processo di ipotesi e test. Questa frase di tre parole, però, non gli rende giustizia. Il filosofo Karl Popper lo ha fatto quando ha descritto "il metodo della scienza come metodo di audaci congetture e tentativi ingegnosi e gravi per confutarle".

In nutrizione, le ipotesi sono speculazioni su quali cibi o abitudini alimentari aiutino o ostacolino la nostra ricerca di una vita lunga e sana. I tentativi ingegnosi e rigorosi per confutare le ipotesi sono i test sperimentali - gli studi clinici e, per essere precisi, studi clinici randomizzati controllati. Poiché le ipotesi sono in ultima analisi su ciò che ci accade nel corso di decenni, test significativi sono proibitivi ed estremamente difficili. Significa convincere migliaia di persone a cambiare ciò che mangiano per anni e decenni. Alla fine devono accadere abbastanza attacchi di cuore, tumori e morti fra i soggetti in modo che sia possibile stabilire se l'intervento dietetico è stato utile o dannoso.

E prima che tutto questo possa anche solo essere tentato, qualcuno deve pagare. Dal momento che nessuna azienda farmaceutica ne trarrebbe beneficio, potenziali fonti sono limitate, soprattutto quando insistiamo sulle risposte già note. Senza tali prove, però, stiamo solo immaginando di conoscere la verità.

Già negli anni sessanta, quando i ricercatori per la prima volta hanno preso sul serio l'idea che i grassi alimentari causassero malattie cardiache, hanno riconosciuto che tali test sarebbero stati necessari e ne hanno studiato la fattibilità per anni. Alla fine, la direzione della National Institutes of Health concluse che sarebbe stato troppo costoso - forse un miliardo di dollari - e avrebbero comunque potuto ottenere la risposta sbagliata. Avrebbero potuto pasticciare lo studio e non saperlo mai. Certamente non potevano permettersi di fare due di questi studi, anche se la replicazione è un principio fondamentale del metodo scientifico. Da allora, i consigli sul limitare i grassi o evitare i grassi saturi si sono basati su supposizioni circa ciò che sarebbe successo se fossero stati fatti tali test, e non sugli studi stessi.

I nutrizionisti si sono adeguati a questa realtà, accettando un livello inferiore di prove su ciò che crederanno esser vero. Fanno esperimenti con animali da laboratorio, per esempio, seguendoli per la parte migliore della vita dell'animale – un anno o due nel caso dei roditori - e suppongono, o almeno sperano, che i risultati si applichino agli esseri umani. E forse lo fanno, ma non possiamo saperlo con certezza senza fare esperimenti con gli umani.

Fanno esperimenti sugli esseri umani - le specie di interesse - per giorni o settimane o addirittura per un anno o due e poi suppongono che i risultati si applichino per decenni. E forse lo fanno, ma non possiamo esserne certi. È un'ipotesi, e deve essere testata.

E fanno quel che chiamano studi osservazionali, osservando le popolazioni per decenni, documentando ciò che la gente mangia e quali malattie li assalgono, e quindi suppongono che le associazioni che osservano tra la dieta e le malattie siano realmente causali - che se le persone che mangiano abbondanti verdure, per esempio, vivono più a lungo rispetto a quelli che non lo fanno, sono le verdure che provocano l'effetto di una vita più lunga. E forse lo fanno, ma non c'è modo di saperlo, senza test sperimentali per verificare questa ipotesi.

Le associazioni che emergono da questi studi sono conosciute solitamente come "dati generati da ipotesi", sulla base del fatto che un'associazione ci dice solo che due cose sono cambiate insieme nel tempo, non che una abbia causato l'altra. Quindi associazioni generano ipotesi di causalità che poi devono essere testate. Ma questa condizione generata da ipotesi è caduta nel corso degli anni, quando i ricercatori che studiano la nutrizione hanno deciso che questo è il meglio che possono fare.

Una lezione di scienza, però, è che se il meglio che puoi fare non è sufficiente per stabilire una conoscenza affidabile, prima di tutto riconoscilo - l'onestà implacabile su ciò che può e non può essere estrapolato dai dati è un altro principio fondamentale della scienza - e poi fai di più, o fai qualcos'altro. Così com'è, abbiamo un campo di una sorta-di-scienza nella quale le ipotesi sono trattate come fatti perché sono troppo difficili o costose da testare, e ci sono tante ipotesi che quelli che i giornalisti amano chiamare "autorità leader" si confutano a vicenda ogni giorno.

È una situazione inaccettabile. L'obesità e il diabete sono un'epidemia, ma il solo fatto rilevante su cui esistono dati relativamente non ambigui per supportare un consenso è che la maggior parte di noi sta sicuramente mangiando troppo di qualcosa. (Il mio voto è per gli zuccheri e i cereali raffinati; tutti abbiamo i nostri pregiudizi.) Fare incursioni significative contro l'obesità e il diabete a livello di popolazione richiede che noi sappiamo come trattarli e prevenirli a livello individuale. Dobbiamo smettere di credere di conoscere la risposta, e sfidare noi stessi ad affrontare test che fanno un lavoro migliore nel mettere alla prova le nostre convinzioni.

Prima che io, per esempio, faccia un altro proposito dietetico, mi piacerebbe sapere che ciò che credo di sapere riguardo una dieta sana è davvero così. Chiedo troppo?


Nessun commento:

Posta un commento