lunedì 27 luglio 2015

Pregiudizio nel cervello - Come sono diventati problematici i processi evolutivi cerebrali

Traduzione di: Silvia Scuotto
Originally appeared on: Medical Daily, by Ali Venosa



Il pregiudizio è, purtroppo, una parte comune dell'interazione umana. La gente giudica e stereotipizza continuamente, anche quando non intendono farlo consapevolmente. Questi modi di pensare emergono naturalmente come parte del modo in cui funziona il cervello umano, e il modo in cui tendiamo a conformarci come specie. Un nuovo studio condotto da scienziati guidati dal Korolinska Institutet ci ha dato qualche informazione in più sul modo in cui il nostro cervello crea il pregiudizio, che in futuro potrebbe aiutarci per imparare a eliminarlo.

Perché formiamo i pregiudizi?

Il pregiudizio è generalmente definito come un giudizio o un'opinione prevenuta su qualcosa o qualcuno che non ha fondamento di fatto o ragione. Cioè, le persone che hanno pregiudizi contro qualcuno, spesso giudicano senza prestare attenzione ai fatti caso-per-caso, ma piuttosto affidandosi a un parere memorizzato riguardo il gruppo al quale quella persona appartiene. I pregiudizi spesso portano a stereotipi e discriminazione, e possono rivolgersi contro tutti i tipi di gruppi sociali, tra i quali genere, origine etnica o status sociale.

Sembra che la nostra tendenza come esseri umani a diventare prevenuti derivi dal vantaggio evolutivo della categorizzazione. Raggruppare mentalmente le cose ci aiuta a dare un senso al mondo che ci circonda, che spesso bombarda il nostro cervello con una quantità ingestibile di informazioni. Per passare al setaccio tutti questi input, il cervello cerca di creare categorie con descrizioni generali che può rapidamente riordinare in informazioni. Questa categorizzazione non si applica solo alle cose e le persone intorno a noi, ma anche a noi stessi, e abbiamo la tendenza a gravitare verso coloro che riteniamo essere come noi.

Il pregiudizio si verifica quando etichette generalizzate di "buono" o "cattivo" sono applicate a interi gruppi. Quando le persone decidono il loro "gruppo di appartenenza", o il gruppo a cui sentono di appartenere, tutti gli altri gruppi sono per default "gruppi di non appartenenza". C'è un'innata propensione nei confronti del proprio gruppo, non solo a percepirlo come migliore del "gruppo di non appartenenza", ma a essere più accogliente nei confronti dei singoli difetti di individui all'interno del "gruppo di appartenenza", cosa che diventa molto rilevante nello studio discusso più avanti.

In termini evolutivi, è stato utile per sviluppare una tendenza verso i "gruppi di non appartenenza" perché erano visti come concorrenza quando le risorse erano limitate. I "gruppi di non appartenenza" possono essere visti anche come una minaccia per la propria cultura, lingua, e usi.

Pregiudizio nel cervello

Al suo livello più elementare, il pregiudizio è un'associazione di uno stimolo a una risposta comportamentale. Sebbene a volte le nostre reazioni siano utili per la sopravvivenza (per esempio: sentiamo un orso che viene verso di noi, il cervello ci dice di essere spaventati), il cervello umano può anche far squillare falsi allarmi su stimoli che non sono realmente una minaccia. È molto più sicuro essere eccessivamente prudenti, ma il pregiudizio è un esempio lampante di come la tendenza di un essere umano di valutare erroneamente che qualcosa sia pericoloso possa causare problemi ai giorni nostri.

Diversi studi hanno cercato di esaminare i processi neurali coinvolti nel pensare con i pregiudizi. L'amigdala, una struttura del cervello fortemente associata con il condizionamento alla paura nel cervello, è stato al centro della ricerca su dove e come formiamo il pregiudizio inconscio. In uno studio del 2007, a un gruppo di maschi bianchi sono stati mostrati volti sconosciuti che variavano nel tono della pelle da molto chiaro a molto scuro. È stata osservata nei partecipanti una maggiore attività dell'amigdala durante la visualizzazione di volti neri in in opposizione al bianco, a prescindere da quanto fossero scuri i volti neri.

Questi pregiudizi inconsci non si applicano soltanto ai pregiudizi razziali, ma anche a genere, sessualità, etnia, e provenienza sociale.

Come entra in gioco il condizionamento alla paura

Un altro modo in cui può sorgere il pregiudizio è attraverso l'apprendimento condizionato. Se una persona subisce un'esperienza negativa o pericolosa con qualcuno che categorizzano come appartenente a un "gruppo di non appartenenza", è probabile che associno l'intero "gruppo di non appartenenza" con quella esperienza negativa. Perché, però, non diventiamo prevenuti nei confronti di chi è nel nostro gruppo? Sicuramente tutti noi abbiamo avuto una brutta esperienza con qualcuno nel nostro "gruppo di appartenenza" in un certo punto della vita, ma non abbiamo creato pregiudizi verso il gruppo nel suo complesso.

La ragione di ciò può essere più chiara grazie allo studio del Karolinska Institutet. I ricercatori hanno trovato differenze di attività cerebrale dopo un'esperienza avversa a seconda se l'esperienza è stata con un membro del proprio gruppo, o di qualcuno proveniente da un "gruppo di non appartenenza".

Nello studio, sono state mostrate a 20 soggetti bianchi immagini di volti sia bianchi che neri. Un volto in ciascun gruppo razziale è stato abbinato a una piccola scossa elettrica al partecipante - uno stimolo avverso. È stato mostrato loro nuovamente il giro di immagini per dimostrare che erano in realtà al sicuro, e il giorno dopo hanno partecipato a un compito interattivo sociale, progettato per misurare l'attività cerebrale e il comportamento quando entravano in contatto con le diverse immagini.

I risultati hanno mostrato che i partecipanti hanno avuto ricordi esagerati dello stimolo avverso associato al volto del "gruppo di non appartenenza". L'amigdala vi ha svolto un ruolo chiave, e ha previsto successive espressioni di comportamenti discriminatori nei confronti di nuovi membri del "gruppo di non appartenenza" durante il compito interattivo.

“Un certo numero di studi di neuroimaging hanno studiato le componenti neurali di acquisizione ed estinzione delle paure, e molti altri hanno esaminato la percezione passiva di volti di "gruppi di appartenenza" e "gruppi di non appartenenza"”, hanno scritto i ricercatori. “I nostri risultati vanno al di là di queste osservazioni, mostrando che i processi di apprendimento di base variano a seconda di chi stiamo imparando a temere o detestare, e che queste differenze possono prevedere una polarizzazione verso i "gruppi di non appartenenza" durante il successivo richiamo della memoria e il comportamento interattivo.”

Cosa possiamo fare?

L'empatia è stata citata come il fattore chiave per decostruire i pregiudizi radicati. Il metodo più efficace finora per ridurre i pregiudizi è chiamato "ipotesi di contatto". Questo suggerisce che quando le persone entrano realmente in contatto con i membri di un "gruppo di non appartenenza", hanno più probabilità di sviluppare pareri positivi su di loro. Il contatto deve essere significativo e prezioso per entrambe le parti, al fine di ridurre efficacemente il pregiudizio. Ancora più importante, essere consapevoli dei propri pregiudizi è il primo passo per ridurli.

---

Fonti:
Molapour T, Golkar A, Navarrete C, Haaker J, Olsson A. Neural correlates of biased social fear learning and interaction in an intergroup context. Neuroimage. 2015.

Ronquillo J, Denson T, Lickel B, Lu Z, Nandy A, Maddox K. The effects of skin tone on race-related amygdala activity: an fMRI investigation. Social Cognitive and Affective Neuroscience. 2007.

Nessun commento:

Posta un commento